IL CORRIERE DELLA SERA
Consulta, Frigo lascia
Restano 14 giudici a decidere sull`Italicum
L`avvocato era stato indicato dal centrodestra
ROMA. Ha deciso di lasciare dopo il compimento dell`ottavo anno di attività nel palazzo della Consulta. Gliene restava ancora uno, ma l`ottantunenne giudice costituzionale Giuseppe Frigo ha deciso di uscire in anticipo presentando le dimissioni per motivi di salute.
Ieri i colleghi hanno accettato e ratificato la sua scelta, dandone comunicazione al Quirinale e ai presidenti delle due Camere.
«Sono stato costretto dai medici che mi dicevano che questo impegno lavorativo, a 600 chilometri di distanza dalla mia residenza, era diventato
troppo pesante, non compatibile con le mie condizioni», spiega l`avvocato dai grandi baffi a manubrio, divenuto noto alle cronache quando sul finire degli anni Novanta rappresentò nelle inchieste e nei processi l`industriale bresciano Giuseppe Soffiantini, rapito da una banda di sequestratori sardi e liberato dopo otto mesi di prigionia. Da giurista aveva collaborato alla stesura
del codice di procedura penale, ed è stato presidente dell`Unione delle camere penali.
Nel 2oo8 fu indicato come candidato alla Consulta dal Popolo della libertà, dopo la bocciatura del collega Gaetano Pecorella, riuscendo a raccogliere
i consensi anche dal centro e dalla sinistra del Parlamento in seduta comune.
La rinuncia di Frigo libera un posto di nomina parlamentare che teoricamente spetterebbe al centro-destra, ma nelle ultime occasioni deputati e senatori non hanno dato prova di grande coesione e unità d’intenti. Dunque è difficilmente prevedibile chi andrà a occupare il suo posto, e — soprattutto — quando ciò accadrà. In teoria le due Camere dovrebbero procedere celermente, per restituire alla Corte costituzionale la pienezza dei quindici componenti, ristabilita nemmeno un anno fa con l’elezione degli ultimi tre giudici di nomina parlamentare dopo mesi di attese, «fumate nere», veti incrociati e burrascose trattative.
Adesso si dovrà ricominciare daccapo, in un clima politico tutt’altro che tranquillo e alla vigilia di scadenze importanti. Che quasi certamente la Corte affronterà priva di un componente. Dunque con 14 membri, il che significa che in caso di parità il voto del presidente Paolo Grossi varrà doppio e risulterà decisivo.
Nell’immediato futuro la Consulta deve decidere su una parte importante della riforma della pubblica amministrazione, riguardante le nomine degli incarichi dirigenziali; ma ciò a cui il mondo politico-istituzionale guarda con più attenzione è il giudizio che incombe sulla riforma elettorale voluta da Renzi e dalla sua maggioranza. Il destino dell’Italicum doveva essere deciso il 4 ottobre scorso, ma poi la Corte ha scelto di rinviare discussione e sentenza a dopo la scadenza referendaria del 4 dicembre. Se il governo, come promesso dall’accordo annunciato nel Pd, dovesse mettere mano alla legge elettorale, finirebbe per cambiare anche i termini dell’attesa decisione. Se invece la «riforma della riforma» non arrivasse in tempi brevi, sarà inevitabile il pronunciamento della Consulta. Con tutte le conseguenze, anche extra-giuridiche, che si possono immaginare.
Il rinvio era stato suggerito, oltre che dai motivi tecnici legati alla non completa interlocuzione su tutti i ricorsi, dall’esigenza di tenere un organismo di garanzia come la Corte costituzionale fuori dalla competizione a favore o contro il governo. Ma dopo il referendum, soprattutto se non saranno introdotte modifiche, non si potrà attendere oltre. Tuttavia il verdetto sull’Italicum non dovrebbe porre problemi di divisione netta, addirittura a metà, tra i giudici costituzionali, in modo che il voto del presidente debba pesare più degli altri. Il precedente giudizio sulla legge elettorale chiamata Porcellum ha stabilito il principio del necessario bilanciamento tra premi di maggioranza in nome della governabilità e rispetto della rappresentanza del voto dei cittadini, dal quale la Consulta non potrà prescindere. E l’assenza di Frigo, un penalista che peraltro ha sempre mostrato indipendenza di giudizio rispetto alla parte politica che l’ha indicato come giudice costituzionale, non dovrebbe incidere sul risultato finale.