CONSULTA: “Csm superbo, presenti i conti”. Lo scontro finisce alla Consulta (La Stampa)

LA STAMPA

“Csm superbo, presenti i conti”
Lo scontro finisce alla Consulta
Ultimatum della Corte dei conti. Le toghe: siamo un potere supremo

Lun.14 – Il «ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato» è stato depositato nei giorni scorsi e dunque sarà la Corte Costituzionale a scrivere
la parola definitiva su uno scontro senza precedenti tra Corte dei conti e Csm. I giudici contabili esigono che l`organo di autogoverno della magistratura
presenti il rendiconto dei soldi pubblici che maneggia, come qualsiasi funzionario statale deve fare. Il Csm non intende adempiere, perché si ritiene
organo supremo dello Stato – al pari del Quirinale e del Parlamento.
Dopo le prime schermaglie a colpi di delibere, i duellanti si rivolgono ora alla
Consulta. In gioco, al di là della specifica questione, c`è la definizione
del ruolo della magistratura nel nostro sistema costituzionale: potere al pari di quello politico, con tutto quello che comporta, o subordinato come qualsiasi branca dell`amministrazione pubblica?
I nomi mancanti
È dal 1997 che il Consiglio superiore della magistratura non presenta il conto. Nel giugno dello scorso anno, la Corte dei conti se ne accorge mentre «aggiorna l`anagrafe dei soggetti titolari di gestioni di denaro, beni o valori assoggettabili alla resa del relativo conto». La Corte chiede al Csm di comunicare «nominativi e funzioni» degli «agenti contabili». Il Csm risponde negativamente un mese dopo: nessun dovere di rendicontazione «in ragione della speciale collocazione costituzionale».
Del resto, spiega il segretario generale del Csm, la regolarità contabile è assicurata «da elevate e specifiche professionalità» e da «controlli puntuali, seri e costanti».
Ma la Corte dei conti non ci sta. Il magistrato competente si rivolge alla sezione giurisdizionale del Lazio e ottiene, un mese fa, una sentenza ultimativa, che dà al Csm 120 giorni per presentare il rendiconto del cassiere, dell`economo e dell`amministratore dei beni.
Lo scorso 4 marzo, nel discorso di inaugurazione dell`anno giudiziario, il presidente della sezione Lazio della Corte dei Conti infierisce, definendo la renitenza dell`organo di autogoverno della magistratura «un peccato di superbia, che abbiamo ricondotto nei corretti canoni, (…) mosso dall`insofferenza istituzionale di essere sottoposto al controllo di un altro organo dello Stato di cui non riconosce, nella specifica materia, l`autorità».
Di fronte a parole così dure, al vicepresidente del Csm Giovanni Legnini non è rimasta che una strada. La più delicata e impegnativa da punto di vista istituzionale: il conflitto tra poteri davanti alla Consulta.
Nel ricorso il Csm lamenta nell`iniziativa della Corte dei conti «una grave lesione dell`autonomia costituzionale della magistratura» frutto di «un`interpretazione impropria, illegittima e incostituzionale» delle norme. «Assoggettare il Csm all`obbligo di rendiconto contrasta con l`assetto costituzionale della divisione dei poteri».
Le interpretazioni
Tutto ruota attorno all`interpretazione della Costituzione, nella parte in cui definisce la magistratura «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Il Csm rivendica il suo ruolo, che «rende immune la magistratura da ogni interferenza di qualsivoglia potere dello Stato» e pertanto impedisce di degradarlo «a un qualsiasi organo esecutivo della macchina statale» come la Corte dei conti fa con le sue pretese.
Nel 1981 la Corte costituzionale aveva già sottratto Parlamento e Presidenza della Repubblica dagli obblighi di rendicontazione contabile. Ora il Csm chiede il medesimo status di «organo supremo» aggiornando l`applicazione del Regio Decreto del 1934 sul rendiconto degli uffici pubblici alla luce della successiva Carta costituzionale, che ha conferito indipendenza alla magistratura.
Ma la Corte dei conti obietta che il Csm non è affatto «un potere sovrano» al pari di Quirinale, Camera e Senato. E con la sua richiesta alimenta un
«equivoco di fondo». Quando decide le carriere delle toghe, esercita funzioni di rilievo costituzionale e come tale va tutelato da ingerenze di altri poteri.
Ma quando i suoi funzionari maneggiano denaro, si tratta di faccende amministrative uguali a quelle di ogni altro pubblico ufficio. Dunque non c`è motivo di derogare al «principio generale del nostro ordinamento, che prevede l`obbligo di chi gestisce denaro, valori o beni altrui di rendere il conto del proprio operato».
Deciderà la Consulta. Sentenza delicata: delimiterà ruolo dei magistrati, grado di autonomia e rapporti con un potere politico tutt`altro che succube. Giuseppe Salvaggiulo

Foto del profilo di Andrea Gentile

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