IL SOLE 24 ORE
Giustizia. Oggi la Consulta decide se rendere alternative le sanzioni privilegiando quella penale
Market abuse, il governo difende il cumulo di pene
Cassazione in linea con Strasburgo: il regime vigente lede il principio del «ne bis in idem»
ROMA. Market abuse: mantenere il sistema del cumulo delle sanzioni amministrativa e penale, oppure cancellarlo e rendere le sanzioni alternative, privilegiando quella penale? Questo è il dilemma che si pone alla Corte costituzionale. Che ne discuterà in mattinata in udienza pubblica – e deciderà nel pomeriggio in camera di consiglio –, con la Consob e il governo schierati per il mantenimento della disciplina vigente (cioè il cumulo), impugnata invece da due ordinanze della Cassazione perché lesiva dell’articolo 117 della Costituzione in relazione all’articolo 4, protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul diritto al “ne bis in idem” (nessuno può essere sanzionato due volte per lo stesso fatto). Principio in forza del quale l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo nell’ormai famoso caso Grande Stevens. In quell’occasione, la Corte ha chiesto al giudice (ordinario e costituzionale) e al legislatore di armonizzare le norme vigenti sull’abuso di mercato agli obblighi internazionali in materia di tutela del “ne bis in idem”, previsto, fra l’altro, anche dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, norma di diritto primario dell’Unione, che quindi produce effetti diretti negli ordinamenti nazionali. «Una bella gatta da pelare» è la battuta che circola fra gli addetti ai lavori e anche a Palazzo della Consulta, considerato il peso, giuridico e politico, della decisione e dei suoi effetti sui procedimenti in corso, in attesa che a luglio entrino in vigore le nuove norme sul riassetto delle sanzioni in materia di market abuse (in attuazione della direttiva del 2014). Non a caso, la questione è stata assegnata a due relatori, i giudici Giorgio Lattanzi e Marta Cartabia, i quali hanno sul tavolo, oltre alle due ordinanze della Cassazione, anche quella del Tribunale di Bologna, riferita, però, a un caso di omesso versamento dell’Iva. La vicenda è complessa ma può essere sintetizzata così: se ha o meno accesso nel nostro sistema costituzionale un doppio binario sanzionatorio in base al quale un medesimo fatto è punito con la sanzione penale e con quella amministrativa quando quest’ultima abbia, di fatto, natura afflittiva. È il sistema previsto, appunto, per i reati di abuso di mercato (dall’aggiotaggio alla comunicazione illecita di informazioni privilegiate), in attuazione di una direttiva del 2003 e sul presupposto che si tratti di due sanzioni di diversa natura, ma che la Corte di Strasburgo ha contestato ritenendo che una sanzione ha natura penale ogni volta che abbia un’effettiva afflittività. Quindi, anche se formalmente è applicata da un’Autorità amministrativa, come la Consob. In questi casi deve quindi scattare il “ne bis in idem”. Più in generale, l’obiettivo della Corte di Strasburgo è contestare l’andazzo europeo di affidare ad Autorità amministrative l’applicazione di sanzioni afflittive, sulla base, quindi, di un procedimento meno garantito di quello giurisdizionale. La sentenza rivendica quindi all’autorità giurisdizionale il potere di applicare sanzioni di natura penale. Qualcuno parla di «cultura pragmatica» in contrasto con quello che si rifà al «principio di legalità».
Nella prima ordinanza spedita a Palazzo della Consulta dalla quinta sezione penale della Cassazione, un imputato di abuso di informazioni privilegiate, già colpito in via definitiva da una sanzione amministrativa di 350mila euro, era stato condannato in appello a un anno di reclusione più la multa: la Corte ha eccepito la violazione del “ne bis in idem” e perciò ha chiesto alla Consulta di modificare il primo comma dell’articolo 187 bis del Dlgs n. 58 del 1998, sostituendo l’incipit «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato» con «salvo che il fatto costituisca reato». Nell’ordinanza, i giudici richiamano, fra l’altro, la direttiva europea del 2014 sugli abusi di mercato, che capovolgerebbe i rapporti tra sanzioni penali e amministrative, privilegiando le prime. Nella seconda ordinanza, ad attivarsi è stata la sezione tributaria della suprema Corte in un caso di in cui la sanzione penale per il reato di manipolazione del mercato, frutto di un patteggiamento, era stata estinta dall’indulto ma restava in piedi la sanzione di 5 milioni applicata dalla Consob. Sia la Consob che l’Avvocatura dello Stato chiedono che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Richiamano, fra l’altro, una decisione della Corte di giustizia Ue secondo la quale, fermo restando il “ne bis in idem”, i giudici nazionali devono salvaguardare l’effettività del sistema sanzionatorio. Secondo Palazzo Chigi, poi, la Cassazione chiede alla Consulta un «intervento creativo», sulla base di una lettura della nuova direttiva del 2014 fondata su una «valutazione di politica del diritto», che però è di competenza del legislatore e non del giudice. Donatella Stasio