ITALIA OGGI
Una sentenza della Corte di giustizia europea sulle persone in attesa di rimpatrio
Niente carcere per l’immigrato
Passare irregolarmente la frontiera non è motivo valido
L’immigrato non può essere recluso per il solo motivo che ha attraversato irregolarmente una frontiera interna dello spazio Schengen, anche se in attesa di rimpatrio. Questa la sentenza di ieri della Corte di giustizia europea (causa C-47/15), che ha ribadito il senso della direttiva Ue sui rimpatri, precisando anche che «il principio vale quando un cittadino che si trova in una situazione di mero transito nel territorio dello Stato membro viene fermato in uscita dallo spazio Schengen ed è sottoposto a una procedura di riammissione nello Stato membro da cui proviene». In assenza di partenza volontaria, la direttiva obbliga gli Stati membri a procedere all’allontanamento forzato mediante misure il meno possibile coercitive. «Solo quando l’allontanamento rischia di essere compromesso», si legge nella sentenza, «lo Stato membro può ricorrere al trattenimento dell’interessato, per una durata che non può superare i 18 mesi». La Corte precisa che l’eventuale reclusione «ostacola l’applicazione della procedura di rimpatrio e lo ritarda, pregiudicando quindi l’effetto utile della direttiva stessa». La direttiva sul rimpatrio dei cittadini di paesi terzi prevede che una decisione di rimpatrio debba essere adottata «nei confronti di qualunque cittadino di un paese non Ue il cui soggiorno è irregolare». Da tale decisione inizia a decorrere un periodo per il rimpatrio volontario, seguito (se necessario) da misure di allontanamento forzato. Il caso sottoposto alla Corte Ue di giustizia è francese, paese in cui il diritto prevede che i cittadini di paesi non Ue possano essere puniti con un anno di reclusione se entrati irregolarmente in territorio francese. Inoltre una persona indiziata di reato (anche se tentato) punito con la reclusione può essere in Francia privato temporaneamente della libertà al fine di restare a disposizione degli inquirenti. Si tratta del cosiddetto fermo di polizia. Il caso riguarda una cittadina del Ghana, Se’lina Affum, che nel marzo 2013 è stata fermata dalla polizia all’ingresso del tunnel sotto la Manica, mentre era a bordo di un autobus proveniente da Gand (Belgio) e diretto a Londra. La donna ha esibito un passaporto belga con fotografia e nome di un’altra persona, ed è stata sottoposta a fermo di polizia per ingresso irregolare in territorio francese. Nella sentenza di ieri la Corte ha richiamato la sua giurisprudenza (sentenza Achughbabian), secondo la quale la direttiva rimpatri «osta a qualsiasi normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante la reclusione di un cittadino di un paese non Ue nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista da tale direttiva». In sostanza la Corte ha stabilito che un cittadino non Ue che entra irregolarmente in territorio comunitario «deve essere assoggettato alla procedura di rimpatrio al fine del suo allontanamento e ciò fintanto che il soggiorno non sia stato eventualmente regolarizzato». Le deroghe previste non consentono agli Stati membri di sottrarre un cittadino extra Ue (come la signora Affum), all’ambito di applicazione della direttiva a motivo del fatto che ha attraversato in modo irregolare una frontiera interna dello spazio Schengen (la frontiera franco-belga) o che è stato fermato mentre tentava di lasciare tale spazio (il Regno Unito infatti non fa parte dello spazio Schengen). Paolo Bozzacchi