DIRITTO SOCIETARIO: Sì alle società semplici «cassaforte» (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Diritto societario. Uno Studio del Consiglio nazionale del Notariato sdogana l’attività di intestazione di beni
Sì alle società semplici «cassaforte»

È legittima la costituzione di società semplici «cassaforte», cioè il cui oggetto sociale consista nel semplice godimento dei beni (mobili e immobili) di cui la società venga a essere titolare. È la conclusione cui giungono due Studi, di recente diffusi dal Consiglio nazionale del Notariato (n. 69-2016/I e n. 73-2016/I); conclusione tanto più rilevante quanto più si pensi che è elaborata, con interpretazioni di carattere fortemente innovativo in una materia assai complicata e controversa, da una categoria professionale tradizionalmente guardinga perché paladina dell’assoluto rispetto della legge e della legittimità delle soluzioni applicative.
Il panorama normativo attorno al quale questa tematica ruota, è costituito essenzialmente da tre norme del Codice civile:
l’articolo 2247, che contiene la nozione del contratto di società, il quale sancisce che, per esserci una società, vi deve essere «l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di divederne gli utili»;
l’articolo 2248, il quale sancisce che «la comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme» che il Codice civile dedica alla comunione (e cioè gli articoli 1100 e seguenti); 
l’articolo 2249, comma 2, il quale sancisce che, quando si esercita una «attività commerciale» occorre utilizzare una forma societaria dalla snc “in su”, mentre, se si tratti di esercitare una «attività diversa» da quella «commerciale» si può utilizzare anche la società semplice.
In sintesi, da questo panorama normativo emergono tre sostanziali problematiche: cosa significhino le espressioni «attività economica» (nell’articolo 2247), «scopo» di «solo godimento» (nell’articolo 2248) e in cosa consista l’attività economica «diversa» da quella commerciale, evocata nell’articolo 2249. Ebbene, la tradizionale osservazione di questo panorama normativo è stata nel senso che l’attività societaria deve essere «economica» in quanto, da un lato, esercitata al fine di produrre un utilità e, d’altro lato, perchè diretta alla produzione di nuova ricchezza. Se, dunque, sotto il primo aspetto, l’attività di mero godimento è senz’altro un’attività economica, non lo sarebbe invece sotto il profilo della sua finalizzazione alla produzione di nuova ricchezza (che è, invece, lo scopo dell’imprenditore commerciale e dell’imprenditore agricolo): infatti, nella società, i beni della società sono utilizzati strumentalmente per lo svolgimento di un’attività produttiva, mentre, nella comunione, l’attività svolta è unicamente funzionale alla conservazione del bene comune, al fine di assicurarne il godimento da parte dei comproprietari.
Ne conseguirebbe che, nel caso dell’attività di mero godimento, non le norme del diritto societario si renderebbero applicabili, ma quelle della comunione: nella comunione il bene comune forma oggetto di godimento, il quale rappresenta il fine della comunione, mentre nella società il godimento è solo il mezzo per l’esercizio di un’attività di impresa (Cassazione 6361/2004, Tribunale di Mantova 3 marzo 2008, Tribunale di Varese 31 marzo 2010). Secondo il Consiglio nazionale del Notariato c’è però da osservare che questa tradizionale impostazione deve essere rivisitata al cospetto di due principali osservazioni:
il fine di divisione degli utili non è più un elemento caratteristico della società da quando (legge 377/1976) è ammessa la società consortile (articolo 2615-ter del Codice civile), vale a dire una società che opera non per conseguire un lucro ma per favorire l’attività delle imprese consorziate;
la possibilità (legge 88/1993) di costituire alcune società in forma unipersonale deroga all’impostazione secondo cui per l’esistenza di una società occorre l’esercizio «in comune» di un’attività economica. 
Insomma, il quadro dei presupposti strutturali della società, delineato nell’articolo 2247 del Codice civile, è già di per sé superato da questi soli rilievi; ai quali deve poi essere aggiunta l’osservazione che una copiosa legislazione, dettata in materia tributaria, ripetutamente (stante la sua incessante natura transitoria), ormai da vent’anni sospinge – concedendo agevolazioni per questo “passaggio” – le società commerciali che si limitino a svolgere attività di mero godimento dei propri beni immobili, a trasformarsi in società semplici con oggetto di mero godimento: la legge 449/1997 (articolo 29), la legge 448/2001 (articolo 3, comma 7), la legge 296/2006 (articolo 1, comma 111), la legge 244/2007 (articolo 1, comma 129), la legge 208/2015 (articolo 1, comma 115).
Osservano dunque i notai che la legislazione tributaria non è di “serie B” rispetto a quella civilistica e che, a meno di non prefigurare una disparità di trattamento di situazioni eguali (il che avrebbe forti accenti di non conformità alla Costituzione), così come a una società semplice di mero godimento si può giungere trasformando una società commerciale per approfittare di una legislazione tributaria di natura transitoria, a una identica trasformazione ben si può addivenire quando la normativa di favore non sia applicabile o non più vigente; e, pure, si può legittimamente procedere alla costituzione ex novo di una società semplice che abbia a oggetto il mero godimento dei beni mobili e immobili di cui si venga a trovare titolare. Angelo Busani

Foto del profilo di Andrea Gentile

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