IL SOLE 24 ORE
Corte costituzionale. Infondata la questione di legittimità sollevata sulla sanzione pecuniaria e detentiva
Reato la coltivazione di cannabis
La destinazione a uso personale non è rilevabile in astratto
Milano. La coltivazione di cannabis per uso personale resta un reato. A confermarlo è la Corte costituzionale, dalla quale ieri è arrivata, attraverso un comunicato, la notizia della infondatezza della questione di legittimità posta dalla Corte di appello di Brescia sul trattamento sanzionatorio. Il comunicato puntualizza anche che la decisione, le cui motivazioni saranno depositate tra qualche tempo, è stata presa nel solco delle precedenti pronunce in materia.
La Corte d’appello di Brescia era tornata a sollecitare l’esame di costituzionalità alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza e della legislazione sugli stupefacenti. L’ordinanza di rinvio, vecchia di un anno (era il 10 marzo del 2015), metteva in evidenza così l’irragionevolezza e la violazione del princpio di uguaglianza determinata dall’applicazione degli articoli 73 e 75 del Testo unico sulle droghe (Dpr 309/90). Da una parte infatti è penalmente irrilevante la condotta di chi detiene stupefacenti in precedenza coltivati o altrimenti prodotti a condizione che la sostanza sia destinata al consumo personale; dall’altra, invece, si prevede la sanzione penale per chi è sorpreso a coltivare e produrre stupefacenti da destinare al proprio consumo personale.
Non solo, per i giudici bresciani la previsione di una sanzione penale detentiva e pecuniaria a carico del coltivatore a uso personale è in contrasto anche con il principio di offensività. Infatti, l’incriminazione della di una condotta che non ha come obiettivo la cessione a terzi dello stupefacente coltivato è, nella lettura della Corte d’appello, del tutto estranea alla lesione o messa in pericolo dei valori che la norma intende tutelare (la salute e l’ordine pubblico). Del resto, ricordava ancora l’ordinanza, la tutela della salute o dell’incolumità personale da atti autolesivi, come nel caso del consumo di tabacchi o alcolici, è estranea all’intero ordinamento penale.
Argomenti che però non hanno fatto breccia nella Corte costituzionale. Il richiamo ai precedenti non può allora che riferirsi innanzitutto alla sentenza, la n. 360, con la quale nel 1995 la Consulta respinse la questione di legittimità nella stessa materia.
Allora, la Corte costituzionale sostenne, tra l’altro, la difficoltà di collegamento tra coltivazione e consumo personale. Soprattutto a confronto con altre condotte come quelle di detenzione, acquisto e importazione, nelle quali il quantitativo di sostanza è certo e determinato, agevolando il giudizio sulla destinazione a consumo personale. Non si può invece dire lo stesso per quanto riguarda la coltivazione: la quantità di prodotto ricavabile dalla coltura in atto non è certa «sicché anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili».
Inoltre la Consulta ricordava che, in termini di offensività, la coltivazione può potenzialmente arricchire il mercato delle sostanze stupefacenti e le occasioni di spaccio. Giovanni Negri