IL SOLE 24 ORE
L’estensione. Utile un intervento legislativo
La decisione europea apre a un’applicazione ampia del principio
La Corte di giustizia europea, con la sentenza sulla causa C546/14, si pronuncia sull’annosa questione dell’intangibilità del debito Iva in sede di domanda di concordato preventivo. La pronuncia, oltre ad essere diversa dalla giurisprudenza nazionale prevalente (si veda l’articolo a fianco), rimuovendo un tabù contro cui si sono infrante non poche proposte concordatarie, solleva problemi applicativi che potrebbero preludere a futuri interventi normativi o resipiscenze giurisprudenziali.
Nel provvedimento in esame, la Corte ha affermato che non sussisterebbero incompatibilità tra le norme comunitarie in materia di regolamentazione ed esatta riscossione dell’Iva (articoli 250 e 273 della direttiva 2006/112/CE) e una normativa nazionale che accordi all’imprenditore in stato di insolvenza la possibilità di formulare una proposta concordataria fondata sul pagamento dei propri debiti mediante la liquidazione del patrimonio, ma con soddisfacimento solo parziale dell’Iva.
La Corte rileva come il concordato preventivo di natura liquidatoria, regolato dagli articoli 160 e seguenti della legge fallimentare italiana, sia un istituto idoneo a garantire la più efficace attività di riscossione dell’Iva, perché: è soggetto a criteri di applicazione e controllo rigorosi; prevede la messa a disposizione dell’intero patrimonio da parte dell’imprenditore insolvente; per la quota di Iva “falcidiata”, offre allo Stato membro la possibilità di esprimere voto contrario alla proposta e, successivamente, di opporsi all’omologazione della procedura; presuppone un trattamento migliore rispetto all’ipotesi fallimentare. Viene in buona sostanza escluso che, a certe condizioni, la previsione di un pagamento solo parziale dell’Iva possa configurare «una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica», condotta espressamente vietata dalla normativa Ue.
La sentenza finisce quindi per scardinare il consolidato orientamento della giurisprudenza (Cassazione, sentenze 22931 e 22932 del 2011 e, più di recente, 7667/12 e 14447/2014), secondo cui il divieto di proporre un pagamento parziale dell’Iva, sancito dall’articolo 182-ter della Legge fallimentare, sarebbe applicabile anche alle procedure di concordato preventivo che non prevedono la transazione fiscale. E non è escluso che la stessa Consulta, se sollecitata, possa ritornare con spirito diverso sull’argomento, già affrontato nella sentenza n. 225 del 25 luglio 2014.
Viene poi spontaneo chiedersi se gli effetti dirompenti della pronuncia europea si limiteranno al circoscritto ambito delle procedure concordatarie liquidatorie o saranno destinati a una propagazione che possa abbracciare il concordato preventivo con continuità aziendale ex articolo 186-bis della Legge fallimentare e, previo intervento legislativo, l’accordo di ristrutturazione con transazione fiscale. Se la ricorrenza nel concordato in continuità di tutti i presupposti enucleati dalla Corte Ue (avendo presente che la mancata liquidazione del patrimonio deve implicare un trattamento migliorativo dei creditori) sembra non porre ostacoli applicativi per tale istituto, appare più difficile estendere gli effetti agli accordi ex articolo 182-bis della Legge fallimentare. Non solo per l’esplicito divieto normativo, ma anche perché tale strumento non prevede lo stesso stringente controllo procedurale. Claudio Ceradini Enrico Comparotto