ITALIA OGGI
Abuso di diritto, il registro non si riqualifica
La nuova disciplina dell’abuso del diritto, applicabile a tutte le norme, elimina la possibilità di riqualificazione delle operazioni ai fini dell’imposta di registro. L’articolo 20 del dpr n. 131 del 1986 è ancora esistente nell’ordinamento in quanto estranea alla disciplina dell’abuso del diritto avendo, invece, la funzione di ribadire che il tributo indiretto deve applicarsi secondo la corretta interpretazione degli atti negoziali. È questo uno degli spunti che emerge dalla lettura della ponderosa circolare dell’Assonime n. 21 del 4 agosto scorso che esamina, in maniera complessiva, le disposizioni introdotte dal decreto legislativo n. 128 del 2015 in materia di abuso del diritto. La norma, introdotta mediante un intervento sullo statuto dei diritti del contribuente (nuovo articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000) ha una applicabilità decisamente più ampia, con riferimento ai diversi settori impositivi, rispetto alle precedenti disposizioni anti elusive quali ad esempio l’articolo 37-bis del dpr n. 600 del 1973. Una applicazione, dunque, che copre sia i tributi diretti che quelli indiretti. Da questo punto di partenza, pertanto, Assonime sviluppa le proprie riflessioni in merito ad una fattispecie che ricorre frequentemente. E cioè la riqualificazione ai fini dell’imposta di registro di alcune operazioni societarie mediante l’applicazione in sede di controllo dell’articolo 20 del dpr n. 131 del 1986 che afferma come l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. Dopo avere illustrato le due possibili tesi sull’ambito di applicazione della norma, compresa quella della natura anti elusiva delle disposizioni di legge, Assonime propone una lettura comparata con quanto previsto ora in materia di abuso del diritto, raggiungendo una conclusione che appare del tutto logica. Nella sostanza, si afferma come una volta introdotto il principio dell’abuso del diritto come applicabile a tutti i comparti impositivi, non avrebbe senso ragionare su una disposizione specifica quale un «doppione» di natura anti elusiva, in quanto questo sarebbe il disposto dell’articolo 20 del testo unico dell’imposta di registro. Conseguentemente, il fatto del mantenimento nell’ambito dell’ordinamento della predetta disposizione, può assumere un solo significato. Cioè quello di non conferire alla norma una qualifica di norma anti elusiva ma, semplicemente, una funzione finalizzata al fatto di ribadire come l’imposta di registro si debba applicare secondo la corretta interpretazione degli atti negoziali. Una impossibilità, dunque, di riqualificare i predetti atti se non attraverso il soddisfacimento di tutti i requisiti ora previsti dalla norma in materia di abuso del diritto. La questione è indubbiamente delicata in quanto riguarda da un lato il comportamento spesso seguito dall’amministrazione finanziaria in tema di controllo nonché gli esiti che detti controlli hanno prodotto in sede giurisprudenziale e, in questo contesto, con esiti spesso differenti tra i gradi di merito e quello di legittimità. Proprio Assonime richiama in particolare una recente sentenza della Corte di cassazione (n. 9582 del 2016), dove i giudici di legittimità hanno affermato:
– che la disposizione di cui all’articolo 20 del Testo unico dell’imposta di registro non avrebbe una funzione anti abuso o antielusiva in considerazione del fatto che la disposizione introdotta dal decreto legislativo n. 158 del 2015 coprirebbe tutte le ipotesi in tutti i settori impositivi;
– nello stesso tempo, però, la norma di cui al dpr n. 131 del 1986 consentirebbe una «riqualificazione» degli atti in ragione degli effetti che si producono dalla sequenza dei negozi giuridici. Tipicamente, la riqualificazione in operazione di cessione di azienda o di beni di una operazione di conferimento seguita dalla cessione delle partecipazioni.
Sarà interessante verificare sul campo questa posizione dell’Assonime che, come detto, da un punto di vista tecnico appare del tutto condivisibile. Del resto, proprio la scelta del legislatore di introdurre una nozione ad hoc in tema di abuso del diritto è stata dettata anche dalla necessità di porre fine alle differenziazioni esistenti nei diversi comparti impositivi. Più in generale, per quanto concerne strettamente il settore delle imposte sui redditi, si dovrà verificare da un punto di vista concreto il passaggio dalle precedenti disposizioni contenute nell’articolo 37-bis del dpr n. 600 del 1973 alle nuove contenute nello statuto dei diritti del contribuente. Questo perché, per certi aspetti, seppure la nuova norma non contenga più una specifica elencazione di operazioni appare probabile che molte di quelle precedentemente richiamate (ad esempio fusioni o scissioni) siano comunque valutabili nell’ottica dell’abuso e, inoltre, appare complessa come ipotesi di base la determinazione puntuale di un comportamento. Duilio Liburdi