FISCO: Difesa personale, soglia elevata (Italia Oggi)

ITALIA OGGI

PROCESSO TRIBUTARIO/ Il decreto è al vaglio delle commissioni parlamentari

Difesa personale, soglia elevata

Fino a 3 mila euro il contribuente in giudizio da solo

 

Si alza la soglia per la difesa personale nel processo tributario. I contribuenti non sono tenuti a conferire l’incarico per l’assistenza tecnica in giudizio a un difensore abilitato se il valore della controversia non è superiore a 3 mila euro invece dei circa 2.500 attuali. Lo prevede l’articolo 9 del decreto delegato di riforma del processo tributario, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri e ora al vaglio delle commissioni parlamentari per il parere.

Ancora una volta, dunque, il legislatore aumenta la soglia del valore della controversia che consente al contribuente di difendersi personalmente e, per l’effetto, di ridurre i costi del processo.

Infatti, le parti diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione e dai concessionari che svolgono le attività di accertamento e riscossione per conto degli enti locali, devono essere assistite da un difensore, tranne che per le controversie di modesto valore. Attualmente, il limite di valore delle controversie che consente alla parte di difendersi personalmente è fissato a 2.583,28 euro. L’articolo 9 del decreto delegato, che riscrive l’articolo 12 della normativa processuale (decreto legislativo 546/1992), non impone l’assistenza tecnica per le liti il cui valore non supera i 3 mila euro. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato. È espressamente disposto che in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.

Tuttavia, nel caso di errore sulla determinazione del valore della controversia il giudice deve ordinare alla parte di munirsi di assistenza tecnica fissando un termine entro il quale è tenuta a conferire l’incarico a un difensore, a pena d’inammissibilità. Se il ricorso viene sottoscritto dalla parte personalmente per le controversie di valore superiore alla soglia stabilita dalla legge, quindi, l’inammissibilità può essere dichiarata solo dopo la mancata osservanza dell’ordine del giudice (si veda Cassazione, sentenza 8025/2005). Così come non può essere dichiarato inammissibile il ricorso perché il difensore non ha indicato la laurea da cui consegue la propria abilitazione professionale (Cassazione, sentenza 17159/2005). Anche in quest’ultimo caso, prima di dichiarare l’inammissibilità, il giudice deve invitare la parte a regolarizzare la propria costituzione, concedendo un apposito termine. L’interpretazione della legge deve essere sempre in armonia con un sistema processuale che intende garantire la tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità. In effetti, con queste pronunce la Cassazione ha fatto diretta applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale (ordinanza 158/2003) che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12 del decreto legislativo 546/1992, laddove richiede l’assistenza tecnica di un difensore abilitato per le controversie di un determinato valore, e ha chiarito che l’inammissibilità del ricorso quando non vi è assistenza tecnica non è automatica, ma «scatta, per scelta del legislatore tutt’altro che irragionevole, solo a seguito di un ordine del giudice ineseguito nei termini fissati e non per il semplice fatto della mancata sottoscrizione del ricorso da parte di un professionista abilitato».   Sergio Trovato 

 

 

 

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