FISCO: Fisco e giudici «fermi» sulle sanzioni (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Il punto critico. La deducibilità dal reddito d’impresa viene esclusa
Fisco e giudici «fermi» sulle sanzioni

Una questione alquanto controversa afferisce alla possibilità di portare le sanzioni in deduzione dal reddito d’impresa. In via ordinaria, la prevalente dottrina afferma che, in mancanza di una norma espressa che neghi la deducibilità delle sanzioni civili ed amministrative, occorre valutarne la rilevanza fiscale sotto il profilo dell’inerenza. In altri termini, le sanzioni civili ed amministrative dovrebbero sempre qualificarsi come oneri deducibili quando il comportamento sanzionato sia riferibile all’attività d’impresa.
Le sanzioni civili si configurano come oneri deducibili in quanto derivano generalmente da contratti con i quali si esplica l’ordinaria attività imprenditoriale e, peraltro, presentano natura risarcitoria del patrimonio del creditore, difettando del carattere afflittivo e punitivo che qualifica, invece, le sanzioni penali.
Parte minoritaria della dottrina, riguardo alle sanzioni amministrative, distingue tra quelle con carattere risarcitorio e quelle con carattere afflittivo. Le prime risulterebbero deducibili, come le sanzioni civili, le seconde dovrebbero essere indeducibili come le sanzioni penali. A fronte di un panorama dottrinario che propende per la deducibilità delle sanzioni amministrative e civili, anche da una lettura a contrario dell’articolo 14, comma 4-bis, della legge 537/1993 (rilevanza fiscale degli oneri legati agli illeciti penali), l’amministrazione finanziaria e la giurisprudenza di legittimità si sono sempre mostrate contrarie alla deducibilità delle sanzioni, perché non inerenti. 
La circolare 98/E del 2000 e la risoluzione 89/E del 2001 hanno chiarito che la spesa sostenuta per pagare le sanzioni antitrust difetta del requisito dell’inerenza in quanto essa è una conseguenza del comportamento illecito tenuto dal contribuente. Sul punto, la Corte di cassazione ha confermato che la sanzione conseguente alla violazione di un divieto da parte dell’impresa non deriva da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa e pertanto non può qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita dell’impresa, ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività. Pretendere che una sanzione costituisca un costo deducibile significherebbe neutralizzarne il carattere afflittivo, trasformandola in un risparmio d’imposta (sentenze della Corte di cassazione 3 marzo 2010, n. 2050, 11 aprile 2011, n. 8135 e l’ordinanza 9 luglio 2012, n. 18368).
Di diverso avviso si è mostrata invece l’Assonime (circolare 24 maggio 2000, n. 39) che ha sottolineato il collegamento tra le sanzioni erogate dall’autorità antitrust e la gestione dell’attività imprenditoriale, rilevando che, più in generale, proprio la deducibilità delle sanzioni è necessaria per evitare che la portata punitiva delle stesse sia indebitamente amplificata. La sanzione esprime e delimita la reazione punitiva decisa dall’ordinamento, sicché negarne la deducibilità dal reddito d’impresa si sostanzierebbe in una violazione del principio di capacità contributiva.
Quanto alla penalità contrattuali, la Cassazione ne riconosce la deducibilità in modo pressoché unanime. Secondo la Suprema Corte, mirando a determinare preventivamente il risarcimento dei danni in caso di inadempimento, la clausola penale costituisce una vicenda contrattuale che non determina alcuna interruzione del nesso sinallagmatico instaurato tra le parti contraenti. Il pagamento della clausola penale è pertanto espressione diretta delle dinamiche dell’attività d’impresa e si qualifica come un costo deducibile in quanto inerente. Un caso è quello della ritardata consegna da parte del contraente ritardatario. L.Mi.

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