IL SOLE 24 ORE
Rientro capitali. La direttiva interna delle Entrate richiama la necessità di comportamenti uniformi nella gestione delle pratiche
I prelevamenti non sono reddito
Sulla circolazione dei contanti invito a ragionevolezza e fiducia verso il contribuente
La direttiva interna dell’agenzia delle Entrate richiama la necessità di comportamenti uniformi nella gestione delle pratiche di voluntary disclosure anche per ciò che riguarda i prelevamenti.
Opportunamente il documento ricorda la centralità di quanto dichiarato dal contribuente.
Del resto, alla base della voluntary disclosure c’è una dichiarazione sostitutiva sulla completezza e la veridicità di quello che viene prodotto, assistita da uno specifico reato in caso di mendacio, quindi i contribuenti, che sanno a che cosa vanno incontro (cioè il nuovo reato e il rischio di vanificare la disclosure), saranno incentivati a dire la verità e l’Agenzia dovrà fare quanto più affidamento possibile sulle relazioni accompagnatorie.
La direttiva delle Entrate ricorda anche che nei confronti delle persone fisiche non esercenti attività d’impresa (e nemmeno nei confronti dei professionisti, Corte Costituzionale 228/2014, e dei soci di società che detengano quote non in regime di impresa), non risulta applicabile la presunzione di reddività, relativa ai prelevamenti, di cui all’articolo 32 del Dpr 600/1973 e che la contestazione della mancata indicazione di ulteriori attività rispetto a quelle indicate dal contribuente deve essere provata dall’Ufficio e non automaticamente dedotta dalla omessa specificazione circa la destinazione del prelevamento. Del resto, non si possono ribaltare sul contribuente prove diaboliche o addirittura impossibili da fornire.
L’Ufficio dovrà valutare con ragionevolezza il quadro offerto dal contribuente considerando l’ammontare regolarizzato, il tenore di vita, il nucleo familiare eccetera (indicazioni in tal senso si rinvengono anche nella Circolare 27/2015).
In sostanza, è legittimo che l’Ufficio chieda spiegazioni rispetto ai prelevamenti, ma dovrebbe essere chiaro:
a) che tali chiarimenti non possono riguardare importi non rilevanti (la direttiva parla di “somme consistenti”, che, nella “ricca” disclosure, fa pensare almeno a importi di decine di migliaia di euro) e situazioni “fisiologiche” ;
b)che il prelevamento non rappresenta mai reddito.
Invero, sulla circolazione dei contanti il richiamo alla ragionevolezza, all’affidamento nelle dichiarazioni del contribuente e alla prassi accertativa degli uffici (la voluntary disclosure è una procedura di accertamento per espresso rimando di legge) dovrebbe valere pure sul fronte dei versamenti, soprattutto nei casi in cui questi rappresentino dei trasferimenti recenti di somme accumulate in anni risalenti.
Si pensi ai casi dove il contante detenuto in Italia è stato versato in Svizzera (magari per paura della crisi nel nostro Paese) nel 2013.
Non può essere corretto tassarlo tutto in questo anno. È da ritenere, infatti, che in tali casi l’Agenzia debba valutare tutti gli elementi addotti dal contribuente e “certificati” dalla dichiarazione sostitutiva. Se si possedeva una cassetta di sicurezza in Italia chiusa poco prima del versamento in Svizzera, sarà verosimile che l’eventuale evasione sia al più da spalmare su più anni.
Se l’aderente è un pensionato sarà difficile che si tratti di materia imponibile, mentre se è un imprenditore con una ditta esistente da 30 anni occorrerà guardare alla redditività media o ai dati degli studi di settore e, ancora una volta, giungere a una spalmatura su più anni degli imponibili, anche ante disclosure e quindi non più accertabili, se del caso. I principi di capacità contributiva e di autonomia dei periodi di imposta supportano questa lettura.
Antonio Tomassini