IL SOLE 24 ORE
Reati tributari. Secondo la giurisprudenza per le misure preventive non servono gli elementi certi necessari per provare l’evasione
La presunzione spinge i sequestri
Presunzioni tributarie valide per il sequestro ma non per la condanna. Sembra questa, ormai, la posizione consolidata della giurisprudenza di legittimità in merito all’utilizzo di presunzioni fiscali in ambito penale tributario.
Gli illeciti tributari particolarmente gravi costituiscono delitto. Tuttavia, ai fini penali, non sono sufficienti le presunzioni tributarie, poiché occorrono le prove di evasione.
A tale principio fa eccezione il sequestro preventivo: si tratta di una misura cautelare con la quale si assicura la futura esecuzione della confisca all’esito dell’accertamento della responsabilità penale dell’indagato, sottoponendo a vincolo determinati beni di valore equivalente all’evasione.
La confisca, infatti, è volta a colpire il vantaggio conseguito con il reato tributario e, quindi, svolge una funzione di disincentivo nei confronti dei contribuenti, potenziali autori dei reati tributari.
Secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, le presunzioni legali vigenti in campo fiscale, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati tributari, hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il fumus del reato, cioè la mera probabilità di effettiva consumazione dell’illecito secondo la prospettazione della pubblica accusa, sulla base dell’indicazione di dati fattuali che si configurino coerenti con l’ipotesi criminosa. Ne consegue che le presunzioni possono giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale (Cassazione, sentenza n. 26746/2015).
In ambito tributario, gran parte delle rettifiche operate dagli uffici sono fondate su presunzioni: si pensi agli accertamenti bancari, al redditometro, agli studi di settore o agli accertamenti induttivi sulle medie di ricarico riscontrate in sede di verifica. Tutti esempi dai quali la pretesa erariale non deriva da prove concrete di evasione, ma da presunzioni legali o talvolta anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Nell’ipotesi in cui gli illeciti contestati costituiscano reato (si pensi a fatture false, a somme evase superiori a determinati importi eccetera) il pm può richiedere al gip il sequestro per importi equivalenti a quelli evasi, in previsione di una futura confisca nel caso di condanna.
In altre parole, ciò significa che dinanzi ad un accertamento tributario fondato anche solo su mere presunzioni, potrebbe essere disposto il sequestro preventivo per equivalente in attesa dell’esito del procedimento penale.
A questo proposito, recentemente, la Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro di beni in un caso in cui il reato contestato derivava esclusivamente da una presunzione tributaria (sentenza n. 5733/2016). Nella specie, si trattava di un accertamento di maggior reddito derivante dalla disponibilità di denaro in un paradiso fiscale, la cui presunzione è stabilita dall’articolo 12 del Dl 78/2009.
I giudici di legittimità, sul punto, hanno innanzitutto precisato che l’accertamento cautelare ha carattere sommario e pertanto anche mere presunzioni possono essere un valido indizio per giustificare la misura. La portata della presunzione tributaria deve essere poi oggetto di specifica disamina nel processo penale.
La sentenza è particolarmente significativa, poiché ha dato importanza ad una presunzione che, per espressa previsione della norma, è valida solo ai fini tributari, ma che tuttavia ha consentito la misura cautelare ai fini penali.
L’indagato, per la propria difesa nell’ambito di un sequestro preventivo, dovrà quindi fornire elementi giustificativi di segno contrario volti cioè a dimostrare l’infondatezza della ricostruzione contenuta nell’accertamento. Laura Ambrosi