FISCO: Legittimo il fisco di vantaggio (Italia Oggi)

ITALIA OGGI

L’analisi delle nuove regole sull’abuso di diritto che ha mandato in soffitta l’elusione

Legittimo il fisco di vantaggio

Non c’è più elusione. A patto che non si sconfini nell’abuso del diritto e che qualcuno riesca a definirne esattamente i confini, è oggi legittimo il comportamento del contribuente che, nel rispetto formale delle disposizioni tributarie vigenti, sceglie le soluzioni a lui fiscalmente più favorevoli. Solo se tale scelta risulterà priva di sostanza economica e consentirà essenzialmente l’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti, il fisco, previo assolvimento dell’onere della prova, potrà disconoscerne i vantaggi determinando i tributi elusi. È questo lo scenario che si presenta nel nostro ordinamento a seguito dell’entrata in vigore del nuovo articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente introdotto dal decreto legislativo n. 128/2015.

Fra le varie disposizioni contenute in tale nuovo articolo dello Statuto figura infatti anche l’esplicita abrogazione dell’articolo 37-bis del dpr 600/73, ovvero delle disposizioni antielusione introdotte nel nostro ordinamento dalla legge n. 413/1991.

Lo scenario è tutt’altro che confortante né vi sono elementi concreti che possano far supporre a una soluzione positiva dell’eterna querelle, finora tutta di matrice giurisprudenziale, circa l’esatta definizione dell’abuso del diritto e del conseguente disconoscimento dei vantaggi fiscali da esso derivanti. La scelta del legislatore operata nel dlgs 185/2015 è chiara e netta: l’abuso del diritto è l’unica fattispecie elusiva perseguibile ad iniziativa dell’ufficio che potrà essere sanzionata unicamente in via amministrativa, fatte ovviamente salve le situazioni in cui siano presenti anche condotte fraudolente.

Tutte le altre fattispecie di comportamenti elusivi, in primis la c.d. economia di scelta, sono legittime e non potranno essere in alcun modo disconosciute. Il primo elemento di perplessità nasce dalla collocazione stessa della nuova disciplina dell’abuso del diritto: lo Statuto dei diritti del contribuente. Il nuovo articolo 10-bis, la cui rubrica è appunto disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale, introdotto dal decreto legislativo n. 128 del 2015, è infatti disposizione di diritto positivo finalizzata unicamente ad individuare una precisa metodologia di accertamento che niente ha a che vedere con l’assetto normativo portante della legge n. 212 del 2000. Oltre a tale vizio di natura meramente formale ma che certo lascia piuttosto perplessi, vi sono tutta una serie di ulteriori elementi che lasciano presupporre che la nuova disciplina dell’abuso del diritto sia destinata ad acuire e alimentare anziché risolverle, le conflittualità fra il fisco e i contribuenti e il relativo contenzioso. Per comprendere quanto ora descritto basta semplicemente scorrere le disposizioni contenute nel primo comma del nuovo articolo 10-bis. All’interno della definizione di abuso del diritto ritroviamo infatti una notevole mole di termini di difficile identificazione quali, ad esempio, «le operazioni prive di sostanza economica» che realizzano «essenzialmente» vantaggi fiscali indebiti. Ed ancora, termini quali: la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti a «normali logiche di mercato». Viene perfino da chiedersi se possa esistere una operazione aziendale priva di sostanza economica, si noti qui la differenza rispetto alla definizione di atti privi di valide ragioni economiche utilizzata nell’abrogata articolo 37-bis del dpr 600/73, o quali siano le normali logiche di mercato alle quali gli atti contestati dal fisco sembrano sfuggire.

Sono dunque troppi i termini generici che il legislatore ha utilizzato nel definire l’abuso del diritto per pensare, o forse soltanto sperare, che l’uso abnorme di questo strumento giuridico cessi di caratterizzare l’operato dell’amministrazione finanziaria e si modifichi il convincimento dei giudici tributari. La sensazione che si ritrae dall’esame completo delle disposizioni in commento è che il legislatore, grazie anche all’utilizzo obbligatorio del contraddittorio preventivo a pena di nullità del successivo atto di accertamento, pensi di contrastare l’abuso del diritto con l’utilizzo di un patteggiamento allargato fra fisco e contribuente. Se è vero infatti che l’onere della prova dell’operazione in odore di abuso del diritto ricade tutta sull’ufficio fiscale, sul contribuente ricade però l’onere di dimostrare che gli atti o l’atto compiuto ha anche «(…)valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondo a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente».

Insomma se qualcuno da domani dovesse trovarsi coinvolto, suo malgrado, in una tale palude normativa l’unica via di fuga plausibile che potrebbe attivare sarebbe quella di definire la partita con l’ufficio durante il contraddittorio preventivo. In alternativa, fatte salve le vie dell’apposito interpello, resta, con tutte le incognite del caso, il contenzioso tributario. Andrea Bongi 

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