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Meno tempo per i controlli del Fisco
Domani entra in vigore il decreto legislativo 128/15 e con esso il nuovo regime del raddoppio dei termini in presenza di fatti penalmente rilevanti (articoli 43, comma 3 del Dpr 600/73 e 57, comma 3, del Dpr 633/72. È una data importante, giacché le modifiche introdotte sono tali e tante da costringere l’agenzia delle Entrate a un ripensamento complessivo del proprio modus operandi, maturato a esito della sentenza della Corte costituzionale 247/11. Per effetto della novella, infatti, l’affermazione contenuta in quella sentenza, secondo cui coesisterebbero due termini autonomi e distinti di accertamento (uno “breve” e uno “lungo” in presenza dell’obbligo di denuncia), va superata.
Ma non solo, perché, a ben vedere, risulta messa in discussione la ragione stessa del raddoppio dei termini. Con il nuovo regime, infatti, per poter beneficiare del raddoppio occorrerà non tanto e solo che sussista l’obbligo di denuncia (articolo 331 del Codice di procedura penale) quanto che questa denuncia sia concretamente ed effettivamente presentata (come del resto prescritto dalla legge delega) – prima importante novità –, nonché e soprattutto che ciò venga fatto – seconda novità – entro i termini ordinari di accertamento. Con l’effetto che da domani 2 settembre non si potrà più parlare di due termini “ordinari”, ma di uno solo, prorogabile eventualmente ma solo se e in quanto la denuncia viene presentata prima della sua scadenza.
Perché si dovrebbe allora assistere a un superamento delle ragioni stesse del raddoppio dei termini? Semplicemente perché, a questo punto, non è chiaro a cosa serva il raddoppio dei termini. Se la denuncia deve essere inoltrata entro i 4/5 anni dettati in via ordinaria per la rettifica dell’accertamento, questo significa che le indagini vanno concluse e i fatti accertati entro quei termini. Non si comprende allora perché mai l’Agenzia, disponendo degli elementi utili a presentare la denuncia, dovrebbe attendere altri 4/5 anni per formalizzare l’accertamento. Con ogni evidenza, per tutelare l’azione amministrativa in presenza di vicende complesse – quali si ipotizza possano essere quelle con risvolti penali – basterebbero semmai altri 6 mesi. È fin troppo evidente che un raddoppio dei termini così congeniato è inutile: se l’Agenzia ha già concluso le indagini, non si limiterà a inoltrare la denuncia ma procederà a notificare l’avviso, non essendovi ragioni per lasciarlo “invecchiare” altri quattro/cinque anni, con il rischio di vanificare le garanzie patrimoniali; se invece non ha ancora concluso le indagini entro il termine ordinario, una volta che questo è decorso non le potrà più completare, neppure in presenza di una fattispecie penalmente rilevante.
Ebbene, se le indagini devono essere comunque concluse entro il termine ordinario di accertamento, ciò significa che l’intero regime del raddoppio dei termini resta superato. Per questo la data del 2 settembre si mostra fondamentale, un autentico spartiacque: da una parte gli atti notificati entro quella data, cui continuerà a applicarsi la lettura della Consulta che consente il raddoppio dei termini per la notifica degli avvisi di accertamento, nonostante l’inoltro della denuncia oltre la scadenza del termine “breve” di decadenza (salva la patente infondatezza dell’obbligo di denuncia, sempre verificabile dal giudice); dall’altra gli atti notificati successivamente, per i quali varrà il nuovo regime. Nel mezzo, la “curiosa” disciplina transitoria volta a “salvare” gli avvisi di accertamento a metà del guado. Questi, ancorché relativi ad annualità decadute e con denuncia inoltrata oltre il termine ordinario, saranno legittimi, in deroga alla novella, ma solo in presenza di due condizioni: che siano notificati entro il 31 dicembre prossimo e che si riferiscano a Pvc ovvero a inviti al contraddittorio già notificati il 2 settembre.
Andrea Carinci