FISCO: Niente accertamenti dagli studi di settore (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Lotta all’evasione. Per la Ctp di Messina
Niente accertamenti dagli studi di settore

No agli accertamenti da studi di settore: applicando i princìpi consolidati della Cassazione, la Commissione tributaria provinciale di Messina ha accolto il ricorso di un contribuente al quale l’agenzia delle Entrate aveva chiesto imposte, sanzioni e contributi Inps per 55.275 euro. I giudici, con sentenza 8949/5/15, hanno anche condannato l’ufficio al pagamento delle spese (700 euro, oltre accessori).
Per alcuni uffici gli studi sono ancora infallibili. Nel caso in esame, invece di porre in essere un giusto contraddittorio, l’Agenzia lo ha solo simulato, non considerando in alcun modo le osservazioni e la documentazione esibita dal contribuente, a seguito di invito al contraddittorio. L’ufficio, emettendo l’accertamento, ha confermato integralmente i risultati dello studio di settore. Peraltro, anche dopo il finto contraddittorio, alla richiesta di archiviazione fatta dal contribuente, ha fatto seguito l’accertamento con gli importi dei ricavi presunti e del reddito presunto perfettamente uguali a quelli indicati dallo studio prima dell’invito; insomma, la fase del contraddittorio si è rivelata solo una perdita di tempo.
Alcuni uffici fanno il contraddittorio perché imposto dalla legge e dalle sentenze della Cassazione, ma alla fine “copiano” integralmente i risultati dello studio di settore. Gli studi di settore, nati nel 1998, per quasi 18 anni hanno creato problemi a circa 5 milioni di contribuenti esercenti impresa, arti o professioni: gli uffici li hanno applicati come se avessero la certezza di individuare al centesimo di euro gli incassi. Come indicato dal direttore dell’agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, gli studi dovranno rappresentare uno strumento di selezione e non di accertamento. Purtroppo, ancora oggi, alcuni uffici emettono l’accertamento basato esclusivamente sullo studio automatizzato, magari tentando di “arricchirli” con riferimento ad alcuni beni del contribuente e a certe sue spese sostenute, ma poi confermano fedelmente i risultati.
Il 6 novembre 2014, la Orlandi, in commissione Finanze alla Camera, aveva avvertito che gli studi di settore avrebbero dovuto essere usati per “accompagnare” i contribuenti alla cosiddetta compliance, cioè all’adesione spontanea e che «studi di settore profondamente rinnovati possono rappresentare un efficace strumento per indicare preventivamente il potenziale risultato, anche fiscale, che deriva dall’impiego dei fattori della produzione»; inoltre, «gli studi rivisitati possono costituire un valido ausilio alle imprese per la propria crescita e la corretta gestione». Così, «si esalta la capacità di utilizzo dello strumento quale ausilio alla selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo».
Insomma, è finita l’applicazione automatizzata dello studio di settore per l’accertamento; i risultati dello studio, perfezionato e migliorato, dovranno servire solo per la selezione dei contribuenti da controllare. Ma la vicenda di Messina dimostra che, in alcuni casi, gli uffici, magari perché alle prese con gli obiettivi di fine anno, tra accertamenti, controlli, verifiche, statistiche ed altro, non hanno il tempo di ascoltare il cittadino. È comunque inaccettabile che i contribuenti siano costretti ad un contenzioso costoso e defatigante a causa della caccia a evasioni inesistenti, magari per raggiungere i famosi obiettivi di fine anno, a cominciare dalla cosiddetta mia, maggiore imposta accertata.
Cristina Odorizzi

Foto del profilo di Andrea Gentile

andrea-gentile