IL SOLE 24 ORE
Diritto penale tributario. Il tribunale di Treviso ha chiesto l’intervento della Corte costituzionale
Reati fiscali, riforma alla Consulta
MILANO. Troppo breve il termine previsto per consentire il pagamento del debito tributario, da fare poi valere in sede penale come causa di non punibilità. Il tribunale di Treviso con ordinanza del 23 febbraio, ha così rinviato alla Corte costituzionale una delle misure precedentemente introdotta dalla riforma dei reati tributari. Per i giudici infatti la disposizione (articolo 13 comma 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, come modificato dal decreto legislativo n. 158 del 2015) si pone in contrasto con la Costituzione sia sotto il profilo della parità di trattamento sia sotto quello della ragionevolezza. In particolare non convince i giudici la parte in cui è previsto che, se, prima dell’apertura dei dibattimento, il debito tributario è ancora in fase di estinzione attraverso la rateizzazione, è concesso un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo, con facoltà per il giudice di procedere a una sola proroga di non più di tre mesi.
Un margine di manovra di soli sei mesi, troppo esiguo, a giudizio dei magistrati trevigiani, tenuto conto che i termini di dilazione per mettersi in regola con il Fisco possono anche toccare i dieci anni. E che appare oltretutto in contrasto con la ragione della causa di non punibilità, indirizzata a cancellare la rilevanza penale in cambio della piena soddisfazione da parte dell’Erario.
Irragionevolezza che però esiste anche sul piano giuridico fa dipendere la possibilità di accesso alla causa di non punibilità da variabili che non dipendono dall’imputato. Per esempio, nel caso di ritardo nell’esercizio dell’azione penale, l’imputato avrà più tempo per pagare le rate e, a quale punto, il termine di sei mesi potrebbe anche essergli sufficiente. E soprattutto nell’uguale trattamento di chi è ammesso al pagamento del debito fiscale in forma rateale, che può decidere di rinunciare alla rateizzazione e adempiere il debito residuo entro i sei mesi di massima evitando la sanzione penale, e di chi non ha questa possibilità perchè inserito in un piano di concordato (come nel caso esaminato dall’ordinanza) con la conseguente necessità di rispettare quanto è in esso previsto. Infatti per non compromettere il pari trattamento dei creditori, i debiti vanno pagati nell’ordine e con i tempi previsti.
Il vincolo del concordato preventivo, così, gioca contro la causa di non punibilità e l’imputato di vede assoggettato a un giudizio penale che avrebbe invece potuto evitare.
Non regge, sottolinea l’ordinanza, sostenere che fare ricorso al concordato preventivo rappresenta un atto di autonomia privata, frutto della volontà del debitore: il concordato preventivo rappresenta infatti una sorta di «uscita di sicurezza» dalla prospettiva del fallimento, e dunque uno strumento di tutela non solo dei creditori, ma anche di interessi economici collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi d’impresa. Giovanni Negri