FISCO: Studi di settore della discordia (Italia Oggi Sette)

ITALIA OGGI SETTE

Una recente sentenza della Cassazione riapre il dibattito sui profili probatori
Studi di settore della discordia
In discussione l’efficacia dello strumento in tempi di crisi

Lun.21 – Studi di settore in cerca di pace. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 4151 del 2/3/2016, è tornata a chiarire i termini di legittimità degli accertamenti da studi di settore. Il problema è che la soluzione di tale tipo di contenzioso prescinde dalle numerose pronunce, che, di volta in volta, vengono emesse sui singoli casi portati all’attenzione della Corte. Il problema è infatti di impostazione generale e di efficacia dello strumento presuntivo, soprattutto in tempi di crisi.
Il caso. Nel caso di specie, per l’appunto, l’Agenzia delle entrate notificava un avviso di accertamento con cui, in applicazione degli studi di settore riferiti al gruppo omogeneo di appartenenza in cui era stata inserita la contribuente e, segnatamente, dello studio di settore TD32U, cluster 37, procedeva, visti gli scostamenti reddituali riscontrati tra i ricavi dichiarati e quelli puntuali, a rettificare le dichiarazioni Iva, Irpeg e Irap del contribuente. L’Agenzia soccombeva in primo grado, laddove la Ctp aveva ritenuto che il cluster preso a riferimento non fosse in realtà rappresentativo della specifica realtà aziendale, e vinceva invece in appello, ritenendo la Ctr che la società non avesse fornito elementi tali da giustificare la mancata congruità, essendosi limitata ad affermare di non riconoscersi nelle caratteristiche del cluster e a segnalare generiche difficoltà di mercato.
La Cassazione, infine, con la sentenza citata, respingeva il ricorso del contribuente, il quale aveva sostenuto che la mera applicazione degli studi di settore non fosse sufficiente allo scopo, essendo onere dell’amministrazione integrarne il risultato mediante l’indicazione di elementi contabili ed extracontabili collegati alla reale situazione aziendale.
I giudici di legittimità, tuttavia, ritenevano che l’efficacia probatoria degli studi di settore non richiede che il risultato reddituale così conseguito sia integrato dall’acquisizione di elementi di riscontro. Pur essendo vero, infatti, che gli studi di settore costituiscono semplici estrapolazioni statistiche di indici di redditività, la loro idoneità accertativa si perfeziona comunque con il contraddittorio (obbligatorio) con il contribuente, il quale ha in quella sede facoltà di provare le condizioni che giustificano l’esclusione dagli «standard»; giustificazioni nel caso di specie non fornite.
Il principio generale. Al di là della specifica vicenda, la pronuncia della Corte rappresenta comunque l’occasione per interrogarsi sull’attuale validità dello strumento.
Il caso più «critico» è senz’altro quello dei soggetti al regime di cassa. Per i professionisti è infatti certamente più efficace (probabilmente anche a favore del Fisco) l’accertamento del reddito per mezzo di strumenti più puntuali, come redditometro e indagini finanziarie.
I maggiori compensi determinati in capo ai professionisti attraverso gli accertamenti da studi di settore, stante il principio di cassa, affinché possano corrispondere a maggior imponibile fiscale del professionista dovrebbero del resto essere stati effettivamente percepiti dallo stesso nel periodo d’imposta accertato.
Infatti, i compensi del professionista, ai sensi dell’art. 54, comma 1, del Tuir, concorrono a formare il suo reddito se percepiti nel periodo d’imposta, dovendosi dunque dimostrare (tale onere grava evidentemente «sull’accusa», ex art. 2697 del codice civile) che gli stessi compensi siano stati dal professionista anche incassati.
Il legislatore ha peraltro già cercato di considerare tale criticità, disponendo che nei confronti dei soggetti esercenti arti e professioni l’accertamento da studi di settore trova applicazione solo se lo scostamento tra i compensi dichiarati e quelli stimati si verifica in due periodi d’imposta su tre consecutivi considerati.
La necessità di vagliare l’andamento dei compensi in un triennio ha proprio lo scopo di evitare un accertamento laddove la congruità non è raggiunta per il solo motivo che sono riscossi compensi nel periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione della prestazione professionale.
Ma anche questa disposizione non è sufficiente. Soprattutto in alcuni settori (e soprattutto in tempi di crisi) il principio di cassa comporta infatti comunque spesso un differimento dei compensi rispetto al momento dell’esecuzione della prestazione professionale ancora più lungo di quello indicato nella norma (basti pensare al caso delle curatele fallimentari, delle gestioni societarie straordinarie ecc.).
Gli studi dunque, almeno per questi soggetti, potrebbero rimanere solo come strumento di selezione, senza valore di presunzione legale (seppur semplice).
E del resto, a ben vedere, anche dalle circolari dell’Agenzia emerge in realtà che gli studi di settore possono essere già utilizzati come criterio di selezione dei soggetti da sottoporre a controllo, nell’ambito dei contribuenti che presentano anomalie più o meno gravi negli indicatori economici di riferimento. Vero è che sulla Gazzetta Ufficiale n. 116 del 21/5/2015, è stato pubblicato il dm dell’Economia, recante «Approvazione della revisione congiunturale speciale degli studi di settore per il periodo d’imposta 2014», che ha approvato la revisione congiunturale degli studi di settore relativi alle attività delle manifatture, dei servizi, del commercio e quelle professionali, per tener conto della crisi economica e dei mercati.
E vero è che sono stati introdotti correttivi che prendono in considerazione alcune grandezze e variabili economiche legate alla crisi, tra cui: le contrazioni più significative dei margini e delle redditività; il minor grado di utilizzo degli impianti e dei macchinari; la riduzione dell’efficienza produttiva; le riduzioni delle tariffe per le prestazioni professionali; gli andamenti congiunturali negativi intervenuti nell’ambito dei diversi settori, anche in relazione al territorio di riferimento; la ritardata percezione dei compensi da parte degli esercenti attività di lavoro autonomo a fronte delle prestazioni rese.
E vero è infine che sono stati approvati specifici correttivi congiunturali, di settore, territoriali e individuali.
Ma anche questo potrebbe non bastare e inoltre non si può continuare per correttivi e rimodulazioni, essendo più opportuno fare una riforma coerente di lungo periodo. Altrimenti ogni pronuncia della Corte farà, in sostanza, le veci del legislatore. Giovambattista Palumbo

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