IL SOLE 24 ORE
Ristrutturazioni. Sacrificati i diritti dei non aderenti
Accordi con le banche estesi anche a terzi «omogenei»
Quando furono introdotti nella legge fallimentare (nel 2005) gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in base all’articolo 182-bis, si discusse a lungo se a questi dovesse essere riconosciuta natura autonoma rispetto al concordato preventivo, o se invece li si dovesse considerare come semplice emanazione di quest’ultimo, in un rapporto di specie a genere.
Alla fine prevalse l’opinione che sosteneva l’autonomia e ora lo stesso dibattito potrebbe riproporsi in relazione agli accordi di ristrutturazione previsti dal nuovo articolo 182 septies della legge fallimentare, introdotto dal decreto legge 27 giugno 2015 n. 83.
In realtà, però, qui la soluzione pare più semplice: la nuova norma, infatti, si limita a prevedere che quando l’indebitamento verso banche o intermediari finanziari sia pari almeno alla metà di quello complessivo, la disciplina contenuta nell’articolo 182-bis possa venire integrata da alcune disposizioni ulteriori. Nelle sostanza, dunque, si tratta di un particolare tipo di accordo di ristrutturazione dei debiti, invocabile in un’ipotesi ritenuta speciale.
Per limitarci all’essenziale, la nuova norma dispone che: fermi i diritti dei creditori diversi dalle banche, l’accordo di ristrutturazione dei debiti «può individuare una o più categorie» tra gli istituti di credito «che abbiano fra loro posizione giuridica e interessi economici omogenei». In tal caso, nella propria domanda di omologazione dell’accordo l’imprenditore può chiedere che gli effetti di questo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla stessa categoria «quando tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e i crediti delle banche e degli intermediari finanziari aderenti rappresentino il 75% dei crediti della categoria». Tali creditori, ai quali il debitore chiede di estendere gli effetti dell’accordo «sono considerati aderenti all’accordo ai fini del raggiungimento della soglia del sessanta per cento di cui al primo comma dell’articolo 182-bis», ma possono proporre opposizione, e il tribunale potrà omologare l’intesa solo a patto di verificare che nei loro confronti le trattative siano state corrette e trasparenti e che il loro soddisfacimento «non sia inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili».
Infine, la stessa estensione può essere chiesta anche quando l’accordo riguardi una “moratoria temporanea», salvo che, in questa ipotesi, la relazione del professionista qualificato da cui la domanda di omologazione deve essere accompagnata attesti specificamente «l’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria».
In ogni caso, ai creditori bancari cui l’imprenditore chiede l’estensione delle convenzioni o delle moratorie stipulate con altre banche non può essere chiesta «l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti».
Sotto molti aspetti, quindi, l’articolo 182-septies evoca concetti noti, perché già presenti nelle norme sul concordato preventivo, quale il riferimento alle «categorie di creditori aventi posizione giuridica e interessi economici omogenei» o alla necessità di accertare che il soddisfacimento previsto dall’accordo «non sia inferiore alle alternative concretamente praticabili».
Ma la novità dell’istituto non è nei concetti di cui si avvale, bensì nella regolazione degli interessi in gioco che consente. E da questo punto di vista la novità apre davvero scenari inediti.
Del resto, la norma lo dichiara espressamente: l’estensione ad alcuni creditori degli effetti di accordi stipulati con altri creditori deroga al principio contenuto nell’articolo 1372 del Codice civile, secondo il quale i contratti hanno effetto di legge fra le parti, e solo fra queste. E qui risiede appunto la portata più profonda della novità: nel consentire il sacrificio dei diritti dei terzi quando possa condurre al superamento della crisi d’impresa.
Certo, i terzi dei cui diritti la norma ammette il sacrificio devono pur sempre appartenere alla stessa categoria cui appartengono gli altri creditori con i quali l’accordo sia stato stipulato, e cioè le banche, e conservano comunque il diritto di proporre opposizione, né potranno essere chieste loro nuove prestazioni. Ma rimane la sostanza: pur dentro alcuni limiti e nel rispetto di alcune minime garanzie difensive, la norma consente che alcuni creditori subiscano gli effetti di un contratto concluso da altri, sul presupposto di un interesse considerato preminente.