GIUSTIZIA CIVILE: Finanziamenti per le imprese in crisi (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Decreto giustizia. Via libera definitivo della Camera al provvedimento che interviene sui fallimenti: ora il testo passa all’esame del Senato per l’ultimo ok

Finanziamenti per le imprese in crisi

 

Sab. 25 – Il decreto legge sul fallimento approvato ieri dalla Camera e atteso ora in Senato contiene sia novità più orientate verso i creditori, sia novità più orientate sulla prospettiva del debitore.

Appartengono alle prime le norme sulle offerte e sulle proposte concorrenti, destinate a potenziare lo strumento concordatario al fine, appunto, del miglior soddisfacimento possibile dei creditori (si veda anche il Sole 24 Ore di ieri); appartengono invece alle seconde, tra le altre, quelle che incrementano le possibilità di accedere ai finanziamenti prededucibili, sempre in vista dell’accesso al concordato, e quelle sulla chiusura del fallimento.
In particolare, in tema di finanziamenti le nuove norme consentono l’accesso a finanziamenti prededucibili «funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori», in ipotesi di concordato in bianco, anche prima del deposito del piano e della proposta: in un’ipotesi, cioè, che fino a ieri la giurisprudenza era titubante nell’ammettere. Sorge spontanea la domanda (che, infatti, induceva la giurisprudenza a nutrire dubbi): come sarà possibile valutare la «funzionalità» del finanziamento rispetto «alla migliore soddisfazione dei creditori» senza neppure conoscere la proposta di concordato (o l’accordo di ristrutturazione, perché il concordato in bianco potrebbe risolversi anche in un accordo)? Ma non solo. Sempre in relazione ai concordati in bianco prima del deposito del piano, le nuove norme consentono inoltre l’accesso a quei finanziamenti prededucibili che appaiano «funzionali a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale» fino alla scadenza del termine per la presentazione del piano o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Di nuovo possiamo chiederci: come valutare tale «funzionalità»? La risposta verrà fornita soprattutto dalla giurisprudenza, ma quel che è certo è che in entrambi i casi il punto di vista ritenuto prevalente è quello del salvataggio dell’impresa, seppur a costo di ampliare l’area dei debiti prededucibili a discapito dei creditori concorsuali.

In tema di chiusura del fallimento, le nuove norme prevedono la possibilità di chiudere il fallimento, in ipotesi di compiuta ripartizione dell’attivo, anche quando siano ancora in corso giudizi che vedano il curatore come parte. E si tratta di una novità che, in astratto, modifica la struttura stessa del fallimento come la conosciamo da sempre, perché la possibilità di chiudere la procedura nonostante la pendenza di un giudizio nel quale il curatore sia parte rappresenta davvero una deroga ai princìpi generalissimi. A guadagnarci dovrebbe essere il sistema, perché sappiamo quali costi comportano le procedure, ma più di tutti il debitore, il quale potrebbe aspirare a liberarsi prima dai vincoli derivanti dal fallimento, senza attendere l’esito dei giudizi. Tuttavia, l’importanza della novità non va neppure sopravvalutata, perché la prosecuzione dei giudizi comporterà comunque, come aggiungono le stesse norme, la permanenza in carica del giudice delegato, oltre naturalmente a quella del curatore; e comporterà comunque lo svolgimento di un’attività molteplice e multiforme, consistente, ad esempio, nell’autorizzazione alle eventuali transazioni, nella gestione dei giudizi pendenti anche dal punto di vista dei rapporti con i legali che assistono la procedura, nella gestione delle conseguenze, favorevoli o sfavorevoli rispetto alla massa, derivanti da tali giudizi. Insomma, la chiusura del fallimento sarà solo formale, o se si preferisce parziale; e va aggiunto che potrebbe anche risultare molto difficile, in concreto, preventivare nel decreto di chiusura i costi della gestione dei giudizi che proseguono. Niccolò Nisivoccia

 

 

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