GIUSTIZIA CIVILE: Il fallimento si chiude alla ripartizione dell’attivo (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

 

Decreto legge 85/2015. La conclusione prescinde dagli eventuali giudizi ancora in corso

Il fallimento si chiude alla ripartizione dell’attivo

Il recupero di ulteriori beni a vantaggio dei creditori

 

 

Tra le novità più rilevanti del decreto legge 27 giugno 2015 n. 83 (pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 147) ci sono quelle che riguardano la chiusura del fallimento.

Mentre altre disposizioni contenute nel provvedimento d’urgenza, infatti hanno una portata circoscritta, consistendo per esempio in alcune precisazioni che potrebbero già derivare dall’applicazione dei princìpi generali (basti pensare alla nuova norma sui contratti pendenti nel concordato preventivo, nella parte in cui ribadisce la natura prededucibile dei crediti derivanti da prestazioni rese dopo la domanda di concordato), le novità sulla chiusura modificano una parte rilevante dell’impianto giuridico della procedura fallimentare, come la conosciamo da sempre.

Se fino a oggi la durata del fallimento era per definizione vincolata a quella dei giudizi che vedevano il curatore come parte (al punto che le riforme di questi anni hanno riguardato più volte proprio i riti processuali, nella speranza che all’adozione di un rito o di un altro corrispondesse la velocizzazione dei giudizi, salvo dover di volta in volta constatare l’irrilevanza di ciascuno di essi a tal fine), da oggi in avanti tale vincolo verrà sciolto, quantomeno in relazione all’ipotesi della chiusura per compiuta ripartizione dell’attivo.
La durata della procedura, in tale ipotesi, non dipenderà più da quella dei giudizi promossi dal curatore o nei suoi confronti (fra i quali i più tipici sono quelli con oggetto il recupero dell’attivo, che a loro volta appartengono al più ampio insieme di quelle che Edoardo Ricci definiva come «controversie sulla composizione del patrimonio oggetto della procedura»): il fallimento potrà chiudersi anche quando tali giudizi siano ancora in corso, senza attenderne l’esito.
Il Dl 83/2015 modifica l’articolo 118 della legge fallimentare, integrandone il secondo comma con la previsione secondo cui «la chiusura della procedura di fallimento» nel caso di compiuta ripartizione dell’attivo «non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, in base all’articolo 43». E questo significa, appunto, che da oggi in avanti il fallimento potrà chiudersi, una volta compiuta la ripartizione finale dell’attivo, a prescindere dalla possibilità che i giudizi in corso possano consentire il recupero di ulteriore attivo da ripartire o dal fatto, al contrario, che dai giudizi in corso possa derivare l’incremento del passivo.
Del resto, la massa dei creditori può rimanere indifferente rispetto all’evenienza della prosecuzione dei giudizi: in ipotesi di incremento del passivo in ogni caso i riparti già avvenuti rimarrebbero intangibili; mentre, in caso di recupero di ulteriore attivo, i creditori avrebbero solo da goderne.
Il problema, in quest’ultimo caso, potrebbe essere semmai capire come il curatore possa continuare a svolgere la propria funzione una volta venuta meno la procedura; ma a tali profili sono dedicate altre nuove disposizioni che integrano l’articolo 118 della legge fallimentare e quelle che introducono un nuovo ultimo comma all’articolo 120, che prevedono tra l’altro la permanenza in carica del giudice delegato, anche al fine di autorizzare eventuali “transazioni” o “rinunzie alle liti” (che di regola, invece, sono autorizzate dal comitato dai creditori), o l’accantonamento di quanto ragionevolmente servirà a far fronte alle spese derivanti dai giudizi che proseguono, o l’indicazione nel decreto di chiusura dei criteri di riparto delle possibili sopravvenienze attive.

La sostanza è che il vero destinatario delle nuove norme sulla chiusura del fallimento è il debitore, il quale potrà tornare alla vita civile, libero da tutti quei vincoli ai quali il fallimento lo sottoponeva (tanti o pochi che siano), in enorme anticipo sui tempi lunghi o spesso lunghissimi dei giudizi che fino a oggi lo impedivano.

E non solo: al tempo stesso, il debitore conserverà comunque il diritto all’esdebitazione, perché il nuovo articolo 118 della legge fallimentare contiene alla fine anche l’affermazione dell’ulteriore principio secondo cui «qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti, il venir meno dell’impedimento all’esdebitazione (…)il debitore può chiedere l’esdebitazione nell’anno successivo al riparto che lo ha determinato».
Una cosa è certa, però: le nuove norme consentiranno solo la prosecuzione dei giudizi in corso e non l’instaurazione di giudizi nuovi, da ritenere dunque preclusa, anche perché contrasterebbe con il diverso principio, fissato dall’articolo 120, secondo il quale, una volta chiuso il fallimento, i creditori riacquistano il libero esercizio dei propri diritti verso il debitore.
Niccolò Nisivoccia

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