IL SOLE 24 ORE
Tribunali. Secondo Ascoli il collegio non può valutare questo aspetto – Per Palermo, invece, vale la legge Pinto
Sulla durata dei «piani» i magistrati sono in disaccordo
In assenza di previsioni legislative, la specificazione dei tempi di soddisfacimento attiene al giudizio di convenienza del concordato che risulta ora preclusa al Tribunale. È il principio affermato dal Tribunale di Ascoli Piceno del 14 marzo 2014 (giudice estensore Raffaele Agostini) in un decreto con il quale ha omologato, se pur in presenza di opposizioni di alcuni creditori, un concordato preventivo di una società di capitali.
Uno degli aspetti contestati e indicativi del difficile inquadramento del ruolo dei creditori nella procedura è quello riferito al perimetro del giudizio di convenienza e se lo stesso debba estendersi o meno fino comprendere anche la valutazione dei tempi di soddisfacimento dei creditori e quindi di durata del piano. Ruolo che il nuovo decreto ora in fase di conversione pare abbia risolto consolidando ulteriormente un “favor” verso i creditori e una declinazione ancora più privatistica della figura del concordato preventivo.
Il Tribunale marchigiano era stato chiamato a esprimersi sull’omologazione di una proposta regolarmente approvata a maggioranza dai creditori. Nella fase di omologazione, l’agenzia delle Entrate si opponeva in relazione ai tempi di pagamento indicati nel piano e nella proposta.
Viene preliminarmente affermato che in capo al collegio è esclusa qualsiasi valutazione sulla convenienza economica del concordato. Una sorta di valutazione giudiziale di convenienza da parte del tribunale è individuabile solo in determinate condizioni qualora vi siano dei creditori dissenzienti e opponenti. In tal caso, se i creditori possono essere soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, il tribunale può comunque omologare il concordato nonostante il dissenso.
Così i giudici marchigiani hanno omologato il concordato precisando che il tempo che occorre per il pagamento dei creditori va valutato più che altro nella fase esecutiva del concordato poiché, qualora il commissario giudiziale accertasse la mancanza delle condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato, si dovrebbe attivare la procedura di cui all’articolo 173, legge finanziaria di revoca del concordato e l’attivazione della procedura per la dichiarazione di fallimento.
Di parere opposto è invece il Tribunale di Palermo del 31 ottobre 2014 (giudice estensore Monica Montante) che, sempre in materia di durata dei piani e degli annessi tempi di pagamento dei creditori, ha ritenuto la domanda inammissibile in quanto il piano proposto era privo del requisito di fattibilità sotto il profilo della durata del concordato prospettato. I giudici siciliani richiamandosi alla Cassazione, Sezioni unite, n. 1521 del 23 gennaio 2013, hanno applicato il principio secondo cui, nell’ambito del giudizio di fattibilità del piano di concordato riservato al giudice (valutazione della causa concreta) rientra anche il controllo dei tempi di ristoro dei creditori ragionevolmente contenuti.
Anche in assenza di una norma che fissi in modo preciso il limite temporale di durata della procedura concordataria, per il collegio devono applicarsi i principi introdotti dalla legge Pinto, che fissa in sei anni la durata della procedura di esecuzione concorsuale. Sulla base di tali principi sussiste quindi l’esigenza di stabilire nel limite di tre o, comunque, di cinque anni il tempo ragionevole di durata del piano concordatario e dell’annesso programma dei pagamenti dei creditori. In caso di piani concordatari più lunghi occorre un’adeguata motivazione della scelta operata, con particolare riguardo alla predisposizione di misure dirette a prevenire eventuali rischi che possano compromettere la realizzazione del programma concordatario in considerazione dell’allungamento dei tempi. Gi. Acc. Ale. Dan.