IL SOLE 24 ORE
Perché serve la riforma
Giudici professionisti e ben pagati contro le tentazioni
di Andrea Carinci
La giustizia tributaria necessita attenzione, considerazione e impegno, proporzionali al ruolo e all’importanza che essa ha nel sistema giustizia del Paese. Questo per molteplici, quanto intuitive, ragioni.
Innanzitutto, perché tratta delle risorse – i tributi – che assicurano la sopravvivenza dell’apparato pubblico e, quindi, della stessa collettività nazionale. Il buon funzionamento della giustizia tributaria, in ultima analisi, finisce per rappresentare un fattore di buon funzionamento della macchina fiscale.
Poi, perché involge situazioni soggettive di spessore costituzionale, quali sono il dovere di concorrere alle spese pubbliche e il diritto a una giusta imposizione (entrambi declinazioni dell’articolo 3 della Costituzione). Situazioni che, insomma, meriterebbero un apparato di tutela giurisdizionale adeguato al loro rilievo e spessore.
Infine, e banalmente, perché i numeri del contenzioso sono impressionanti, sia per numerosità sia per i valori trattati.
Tante ragioni che rendono incomprensibile il motivo per cui la giustizia tributaria venga trattata come una giustizia di serie B. Come una giustizia, in particolare, che non necessita (né merita) giudici specializzati e dedicati ma che può “accontentarsi” di giudici onorari, senza alcuna specializzazione né specifica formazione.
Vero è che la giustizia onoraria sta prendendo sempre più piede negli ambiti tradizionalmente coperti da quella togata (si pensi allo spazio crescente lasciato nella prassi dei tribunali ai Got); ma questo, con ogni evidenza, non è una giustificazione, quanto semmai e solo la cifra di un decadimento complessivo del sistema giustizia in Italia.
Il problema della giustizia tributaria viene da lontano. Le ragioni che hanno indotto a concepirla come una giustizia affidata a giudici non di carriera sono storiche e ben note, ma risalgono ai tempi in cui il diritto tributario non aveva ancora una propria dignità tecnico giuridica, al punto che i contenziosi erano essenzialmente su questioni meramente estimative.
Le cose sono però cambiate. Nessuno può oggi dubitare dell’estremo tecnicismo della materia tributaria, come anche del processo, per cui non vi sono ragioni per non intervenire a riformare completamente la giustizia tributaria. Non il processo, che tutto sommato è un buon modello, ma proprio chi quel processo deve curare e gestire, ossia i giudici.
Almeno quattro le direttive da prendere.
Innanzitutto, la professionalizzazione dei giudici, che significa adeguata selezione, da un lato, ma anche aggiornamento permanente, sì da assicurare quella preparazione che appare necessaria per una materia che ha codici e regole assolutamente proprie e peculiari. L’auspicio sarebbe quello di arrivare addirittura a una Cassazione tributaria, sul modello tedesco, sempre più imprescindibile all’obiettivo di assicurare la funzione nomofilattica, soprattutto delle Sezioni unite.
Corollario di tutto questo dovrebbe poi essere che la magistratura tributaria si componga di soggetti impiegati a tempo pieno e quindi, ovviamente, con la previsione di compensi adeguati. Anche qui non si comprende perché i compensi dei giudici tributaria debbano essere tanto irrisori, quando qui, più che mai, appare impellente l’esigenza di contrastare la tentazione alla corruzione.
Infine, massimo rigore sulle incompatibilità.
Fino ad ora le soluzioni ipotizzate per cercare di dare ordine – si pensi al contributo unificato e alle spese di lite (anche per la fase cautelare) – appaiono niente più che palliativi, tesi a contenere l’esplosione del contenzioso tributario piuttosto che ad ordinarlo. A parte la banale considerazione che è quanto meno contradittorio auspicare una riduzione del contenzioso e, al contempo, moltiplicare il novero dei soggetti legittimati all’assistenza, quando è notorio che aumentando i soggetti legittimati ad assistere in giudizio, aumentano le liti.
Purtroppo, la verità è che la riforma della giustizia tributaria non è considerata una priorità e continua a essere rinviata. Ma è un approccio miope, che si accontenta di risparmiare oggi mantenendo uno status quo inefficiente, piuttosto che risparmiare domani, investendo nel sistema giustizia. Poi ci si indigna che la giustizia tributaria non funziona o che ci siano casi incresciosi di corruzione: a essere cinici e realisti, però, a sorprendere non dovrebbero essere i casi di corruzione, ma che, nonostante tutto, il sistema riesca a mantenersi nel complesso pulito. È ancora una volta il paradosso del calabrone, del “nonostante tutto”. Ma quando deve durare?
Perché il sistema attuale è efficace