IL SOLE 24 ORE
Agenda «ricca» per il nuovo governo: taglio del cuneo, Casa Italia e spending review
In attesa anche concorrenza e processo penale-prescrizione
Sono molte le scadenze a brevissimo termine dell’agenda di politica economica che il Governo del dopo-referendum dovrà affrontare. Dossier che si intrecciano con quelli ancora in attesa di approvazione in Parlamento. Misure che non sempre coincidono con l’approvazione della legge di Bilancio 2017 e caratterizzate da una discreta complessità, che spaziano dalle banche, con il correttivo da adottare sulle Popolari dopo la sospensiva del Consiglio di Stato sul diritto di recesso legato alla trasformazione in Spa, fino ad arrivare all’attuazione del piano sulla sicurezza abitativa, visto che entro Natale i tecnici dell’esecutivo insieme con i responsabili del Piano dovrebbero contattare ex Iacp e Comuni nelle città già selezionate per verificare se ci sono immobili – con le caratteristiche costruttive selezionate da Renzo Piano – da candidare all’elenco dei primi cantieri di Casa Italia.
La misura più attesa dal mondo bancario, oltre a quello sulle Popolari, riguarda le nuove risorse per il fondo di risoluzione, con la garanzia di una rateo in cinque anni. Una dote resa necessaria dal complicato processo di vendita delle 4 «good banks» nate dalla risoluzione del novembre 2015 che è ancora al centro di difficili trattative e non riuscirà a recuperare gli 1,6 miliardi di prestito ponte versato da Intesa, UniCredit e Ubi. E in cantiere c’è poi un intervento sulle Dta (Deferred Tax Asset), per permettere di compensare i pagamenti effettuati a luglio a valere sul 2015 utilizzandoli come acconto 2016. Misure da adottare sapendo che l’attenzione, altissima, va tenuta sullo sviluppo del piano di ricapitalizzazione di Mps.
Accanto a questi interventi da affrontare subito, ci sono dossier di non minore importanza che si stagliano sull’orizzonte di medio periodo dell’esecutivo. C’è, per esempio, il nuovo taglio strutturale del cuneo fiscale, da impostare nei prossimi mesi eventualmente in alternativa all’intervento sull’Irpef (e al netto del disinnesco della clausola di salvaguardia sull’Iva) misura che andrà accompagnata sul fronte della spesa con l’adozione della famosa «fase tre» della spending review che confluirà nella prossima legge di bilancio. Sul fronte del Welfare e della previdenza c’è poi lo sviluppo del “pacchetto pensioni” varato sotto la regìa di Tommaso Nannicini, misure aggiuntive in cui si vuole affrontare il tema dell’adeguatezza delle pensioni dei giovani lavoratori con redditi bassi e discontinui (pensione contributiva di garanzia) e favorire lo sviluppo del risparmio nella previdenza integrativa. Due i dossier di rilievo sul fronte fiscale. L’addio a Equitalia da completare entro 1° luglio 2017 il cui primo passo è la nomina del commissario che dovrà varare lo statuto del nuovo ente pubblico economico e traghettare Equitalia verso la nuova «Agenzia delle entrate – Riscossione». L’altro dossier atteso da imprese, artigiani, commercianti e liberi professionisti è l’addio agli studi di settore su cui il Dl fiscale fissa solo una norma cornice da riempire con un provvedimento ad hoc dell’Economia su quali saranno i nuovi indici di fedeltà fiscale che andranno a sostituire gli studi di settore. Sul tavolo ci sono anche possibili modifiche alle semplificazioni fiscali, oggi fortemente criticate soprattutto dai dottori commercialisti pronti al primo sciopero di categoria se non si rivedranno soprattutto le comunicazioni dei dati Iva.
Poi c’è l’arretrato in Parlamento, quella eredità di leggi nei cassetti in alcuni casi anche da più di mille giorni, che il Governo di Renzi lascerà al suo successore. E che a questo punto rischiano di saltare per sempre, se l’orizzonte (e le condizioni politiche) del futuro Esecutivo sarà circoscritto.
A farne le spese potrebbero essere leggi su cui palazzo Chigi ha apparentemente investito molto in immagine, salvo poi lasciarle vivacchiare e quasi abbandonarle in Parlamento. Anche per veti incrociati nella maggioranza – dentro il Pd, con l’Udc e infine con i verdiniani così essenziali al Senato – che ne hanno frenato l’iter. Non a caso la gran parte di questi provvedimenti è fermo proprio al Senato. È il caso della legge annuale sulla concorrenza (già approvata dalla Camera), nel mirino delle lobby e assai ammorbidita rispetto alla versione iniziale: è in Parlamento da 624 giorni ed è addirittura collegata alla manovra 2015. Da 722 giorni non esce dal guado (è al Senato, dopo il sì della Camera) la riforma del processo penale con annessa prescrizione. Stessa sorte della riforma del processo civile, collegata alla Stabilità 2015, a quota 623 giorni di ritardo. E ancora c’è il Ddl di contrasto alla povertà, collegata alla manovra 2016. E il conflitto d’interessi. Tutte leggi non fatte che il Senato continua a frenare. Come il rischio professionale e l’assicurazione per i medici, una bomba a orologeria in sanità: ha raggiunto 1.180 giorni di lavori. Il record tra tutti i Ddl desaparecidos. Alla Camera invece a rischiare è il welfare dei lavoratori autonomi, collegato alla manovra 2016. Su questo pacchetto di provvedimenti il nuovo Governo dovrà dire se e cosa sostenere nel tempo che avrà davanti. E chissà se con la stessa “autorità” di cui godeva Renzi. In questa legislatura finora i Governi (la coda di quello di Mario Monti, poi di Enrico Letta, quindi Renzi) hanno fatto la parte del leone con 220 leggi su 276 totali, 70 grazie ai decreti con l’esplosione dei voti di fiducia. Un altro record di Renzi. Davide Colombo Marco Mobili
Roberto Turno