IL DUBBIO
Giustizia, il ministro resta Orlando: si riaprono le sfide
Dalle riforme al ruolo politico: potrebbe candidarsi alla guida del Pd Resta un ministro chiave per molti motivi. Innanzitutto perché mantiene la responsabilità di un ruolo centrale come la Giustizia: Andrea Orlando condivide il privilegio con Pier Carlo Padoan.
La nomina di Gentiloni a capo del governo e il passaggio di Alfano dal Viminale alla Farnesina fanno in modo che il guardasigilli rappresenti in modo ancora più chiaro la continuità in uno dei quattro dicasteri decisivi. Il ministro della Giustizia sarà fatalmente chiamato a dividersi con l’attività nel partito. Difficile dire se Orlando possa formalizzare una candidatura a segretario con il governo in carica, ma certo chi gli ha parlato in queste ultime ore conferma la sua intenzione di “dedicarsi anche all’attività politica in senso più generale”.
Si fa notare tra l’altro che “Orlando ha esercitato un ruolo pienamente politico nel corso di tutta la campagna referendaria, che lo ha visto impegnarsi in una quantità incredibile di incontri pubblici”. Non solo: “È stato lui per esempio ad anticipare persino Renzi sul via libera alla commissione interna per la revisione dell’italicum”.
Dovrà dividersi, è inevitabile. Ma Orlando sarà anche personalmente messo alla prova sul fronte più impegnativo: il Senato. La rottura di Verdini apre un problema enorme a Palazzo Madama e, al momento, rende precaria la stessa sopravvivenza dell’esecutivo. Ma se pure la fiducia arrivasse, in un modo o nell’altro, l’aula presieduta da Pietro Grasso resterebbe un terreno quasi impraticabile. Si potrebbe confidare sulle aperture di Berlusconi in materia di riforma elettorale. Ma sarebbe comunque difficilissimo concludere altro. A cominciare dalla riforma del processo penale: l’unico dei dossier in capo al guardasigilli che si trovi in fase di esame parlamentare abbastanza avanzato da poterne ipotizzare l’approvazione definitiva. E se era da temerari sfidare gli imprevisti del Senato con Renzi a Palazzo Chigi, diventa al limite dell’impossibile racimolare i voti con l’aventino annunciato dai verdiniani.
Difficile d’altra parte che Orlando abbia accettato di conservare il proprio ruolo di ministro senza confidare in un via libera in extremis per il ddl che più gli sta a cuore, quello appunto che tocca tra l’altro intercettazioni e prescrizione. Solo che l’impresa richiederà nella più ottimistica delle ipotesi almeno un sacrificio: lo stralcio delle norme relative proprio ai tempi di estinzione dei reati. Mettere da parte quel passaggio sarebbe indispensabile per tentare di raccogliere in Aula i voti necessari.
Sulla prescrizione oltretutto Ala si era detta contraria anche con Renzi a Palazzo Chigi. Era stato in particolare il plenipotenziario di Verdini sulla giustizia, Ciro Falanga, ad annunciare il no suo e degli altri senatori del gruppo: “Con l’allungamento dei tempi venuto fuori in commissione non possiamo votare né quella parte né il ddl nel suo complesso”. Magari gli uomini di Denis non cambierebbero comunque idea: ma con lo stralcio della prescrizione si può tentare di mettere assieme i sì necessari nella piccola e confusa galassia centrista che a Palazzo Madama oscilla tra maggioranza e opposizione. Dalle tre senatrici di “Fare”, il gruppo di Flavio Tosi, ai senatori di Gal.
Va detto che l’ambiziosa riforma del processo penale è destinata a rimanere in ogni caso incompiuta anche su altri punti. Al suo interno infatti ci sono due deleghe: una relativa alle intercettazioni e l’altra, assai innovativa, sulla riforma del carcere. A quest’ultima Orlando tiene molto. Ma le deleghe “scadono” con il chiudersi della legislatura. Ed è davvero improbabile che il governo Gentiloni possa durare così tanto e con un tasso di produttività così alto da poter ottenere anche i pareri favorevoli sugli eventuali decreti delegati. Resta in coda la riforma del processo civile e il testo sul diritto fallimentare. Il primo ha ottenuto l’ok di Montecitorio ed è ora fermo in commissione Giustizia al Senato: impossibile che possa marciare verso il sì definitivo. Destino a maggior ragione segnato per il secondo dei due dossier. Tra le misure minori, qualche speranza di approvazione anche rapida sembrano averla invece due norme invocate dall’Associazione magistrati: il reinnalzamento a 72 anni dell’età pensionabile per tutte le toghe e il ritorno a 3 anni del tempo minimo di permanenza nella sede assegnata per i giudici di prima nomina. Si tratta di questioni che andrebbero definite entro il 31 dicembre, perché siano pienamente efficaci: la sola chance sembra poter arrivare dal decreto milleproroghe. Orlando farà il possibile: si è impegnato in proposito con l’Anm di Piercamillo Davigo. Che, se non arrivassero le misure richieste, potrebbe proclamare contro il nuovo esecutivo un clamoroso sciopero. Errico Novi