IL MATTINO
Job acts, processo penale, contratti
tutte le leggi a rischio sopravvivenza
Tra emendamenti che non ci saranno più alla manovra e leggi che rischiano di fermarsi a metà strada, il «prezzo» della crisi di governo si annuncia già salato. E non solo sul piano politico. Ieri, per esempio, dalla Puglia il governatore Michele Emiliano che pure aveva trascinato al successo i No al referendum, ha dovuto prendere atto che l’impegno del governo dimissionario di destinare 50 milioni all’emergenza sanitaria di Taranto (caso Ilva) non avrà alcun seguito. Il testo sarà votato oggi senza modifiche rispetto a quello approvato alla Camera. E sempre per restare in ambito legge di Bilancio, nessun seguito avrà anche l’impegno della maggioranza di estendere il rifinanziamento e gli incentivi fiscali per la ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici ai condomìni e alla prevenzione antisismica, i cosiddetti ecobonus. Una beffa per gli interessati: l’articolo 2 del ddl di Bilancio è il solo a non essere stato affrontato nella prima lettura alla Camera. Stessa sorte per l’estensione agli incapienti dell’accesso al credito d’imposta per gli interventi sulle parti comuni dell’edificio per riqualificazione energetica e prevenzione antisismica. E anche il piano-giochi faticosamente varato dal governo dopo una lunga trattativa con Regioni e Comuni, che prevedeva il 33% di tagli alle new slot degli esercizi commerciali, non farà più strada. Almeno non con la manovra. E che fine farà l’impegno di armonizzare la cosiddetta «direttiva Bolkestein» per le licenze degli ambulanti, come promesso non più di tre giorni fa dal premier dimissionario? La sensazione, oggi, è che il progetto sia destinato all’oblio per molto tempo.
Molto ampio, sicuramente, è anche il fronte delle leggi che, come detto, rischiano di non vedere completato l’iter già avviato. È il caso, ad esempio, del ddl di riforma del processo penale, sostenuto con forza dal ministro Orlando, che contiene le nuove e controverse regole sulla prescrizione e le intercettazioni e prevede pene più severe per reati come furti e rapine: doveva approdare in aula, al Senato ieri, dopo avere ottenuto il via libera di Montecitorio, ora rischia di slittare all’anno nuovo.
Ancora più in salita la parte del Jobs act relativa alle politiche attive, e in particolare alla tanto auspicata riforma del collocamento. La vittoria dei No al referendum riporta le cose al punto di partenza, ovvero la riforma è materia concorrente tra Stato e Regioni e non più come prevedeva la riforma costituzionale di esclusiva competenza dello Stato. Lo scenario in questo caso è ancora più complicato: il nuovo assegno per i disoccupati potrà infatti essere fissato da ogni giunta regionale a proprio piacimento, con criteri diversi da territorio a territorio.
Altro nodo delicatissimo è la riforma Madia della Pubblica amministrazione. In questo caso i problemi sono raddoppiati perché ai dubbi sollevati dalla pronuncia della Consulta su una parte della riforma stessa si aggiungono quelli relativi alla traduzione dell’accordo politico sull’aumento degli 83 euro al mese nei nuovi contratti. Finora, si sostiene da qualche parte, esiste solo un accordo «politico» tra governo e sindacati ma la vera e propria scrittura del testo ancora non c’è e potrebbe slittare chissà quanto. I sindacati, non a caso, si sono affrettati a ribadire che ormai l’impegno c’è e che con qualsiasi governo dovrà «per forza» essere rispettato. Quanto al futuro delle norme anti-furbetti, cancellate dalla sentenza della Corte costituzionale, il governo – per evitare la pioggia di ricorsi che inevitabilmente ci sarà – si trova di fronte a due possibili soluzioni. Revocare il decreto oppure sospenderne l’applicazione. Ma è difficile che l’una o l’altra ipotesi diventeranno concrete in tempi brevi: facile al contrario immaginare che la patata bollente finirà inevitabilmente sulla scrivania di dirigenti e amministratori costretti a rimanere nell’incertezza a tempo indeterminato.
Ma ci sono anche provvedimenti controversi in discussione. Come la legge sulla legalizzazione della cannabis, proposta dall’intergruppo parlamentare antiproibizionista tornata in Commissione e ora a un passo dall’essere definitivamente affossata. O il cognome della madre: dopo la svolta della Consulta di accordare anche alle madri la possibilità di attribuire il loro cognome ai figli, si è tornati a parlare della legge sul doppio cognome, approvata alla Camera nel 2014 e sepolta da due anni al Senato. Il pericolo ora è che venga definitivamente dimenticata.
Complicato pure lo scenario della riforma delle Banche popolari, una delle prime annunciate dal governo Renzi. La decisione del Consiglio di Stato di accogliere il ricorso presentato dai soci di un istituto e di chiamare la Consulta a esprimersi sulla costituzionalità della riforma stessa, ha di fatto sospeso la circolare di Bankitalia sul cosiddetto «diritto di recesso» dei soci alla trasformazione in spa. Con il rischio che al momento non tutti gli istituti hanno provveduto all’adempimento (la trasformazione in spa, appunto) e non è chiaro se debbano ancora farlo o meno.
C’è anche chi fa notare che anche in materia ambientale ci sono almeno tre leggi ferme (parchi, consumo di suolo e piccoli comuni). Ma che anche per provvedimenti inseriti nella legge di Bilancio i dubbi sono diventati «improvvisamente» alti. Quanto tempo occorrerà a questo punto per nominare il commissario di Equitalia destinata ad uscire di scena? E quando tornerà a riunirsi il Cipe per completare l’assegnazione delle risorse del Fondo sviluppo e coesione destinate all’attuazione delle misure contenute nei Patti per il Sud con Regioni e Città metropolitane? E la mancata fusione tra Anas e Ferrovie dello Stato, come riportiamo in altra pagina, che conseguenze avrà per l’Azienda delle strade? Domande legittime considerato lo scenario pieno di incognite che si prospetta a breve termine e che attende al varco il 63esimo governo nei 70 anni di storia repubblicana del Paese. Sempre che se ne occuperà lui o il 64esimo. Nando Santonastaso