IL CORRIERE DELLA SERA
La norma che obbliga i poliziotti a riferire ai capi le indagini segrete
Il decreto del governo e i dubbi dei magistrati. Spataro: “Ci sono rischi di incostituzionalità”. La norma è nascosta in un decreto legislativo di mezza estate che parla d’altro, “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato”, approvato il 19 agosto scorso. Inserita all’articolo 18, tra le norme transitorie e finali. Al quinto comma si stabilisce che l’inserimento dei forestali nell’Arma dei carabinieri partirà dal 1° gennaio 2017.
Poi ecco il secondo periodo: “Entro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti a evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. Tradotto, significa che ogni poliziotto, carabiniere o finanziere che consegna un rapporto o l’esito di un accertamento alla magistratura, deve comunicarlo al suo superiore. Il quale a sua volta informerà il proprio. Una novità che aggira, attraverso un’esplicita deroga, il segreto sugli atti d’indagine fissato dal codice. Giustificata dalla necessità di coordinare gli organismi investigativi, evitare doppioni e razionalizzare le attività. Ma il coordinamento spetta già ai pubblici ministeri titolari delle inchieste, non ai capi dei corpi di polizia che a loro volta hanno rapporti diretti con l’autorità politica, cioè i rispettivi ministri di riferimento.
A ben vedere la norma estende alla polizia di Stato ciò che il Testo unico dell’ordinamento militare del 2010 prevedeva per i soli carabinieri: con parole quasi identiche, in una legge che affronta tutt’altre questioni, si stabilì che debbano riferire alla “scala gerarchica” le “informative di reato” comunicate alla magistratura. Ora quella regola viene applicata a tutti i Corpi, e il capo della polizia Franco Gabrielli ha diramato l’8 ottobre una circolare di cinque pagine che illustra contenuti, modalità e limiti entro cui la polizia giudiziaria dovrà adempiere a questo compito.
Seguendo la lettera del decreto, si precisa che il nuovo obbligo scatta quando viene trasmessa una notizia di reato, ma “non si esaurisce con la fase dell’invio dell’informativa”; dura per l’intera inchiesta, e ricomprende tutto ciò che “rappresenta uno sviluppo” dell’atto iniziale e “fino alla conclusione dell’indagine preliminare”.
Tuttavia Gabrielli, che da poliziotto ha svolto importanti indagini con l’autorità giudiziaria, si mostra consapevole dei rischi connessi alla “limitata eccezione al regime di riservatezza” introdotta, e chiarisce che dev’essere applicata avendo cura di “preservare il buon esito delle iniziative di indagine in corso”. Per questo motivo, secondo “i principi di proporzionalità e di leale collaborazione istituzionale”, il capo della polizia specifica che “le comunicazioni alla scala gerarchica dovranno essere circoscritte ai soli dati e notizie indispensabili a garantire un adeguato coordinamento informativo”. E raccomanda una “graduale selezione delle comunicazioni, in modo da far affluire alla struttura di vertice di ciascuna forza di polizia solo quelle riguardanti situazioni che appaiono di particolare rilievo”.
Una sorta di self-restraint per salvaguardare i rapporti con la magistratura e non compromettere le inchieste. Soprattutto quelle dai risvolti complessi o delicati, che magari coinvolgono politici o persone legate agli apparati dello Stato. Gabrielli delinea anche i singoli passaggi che dai “presidi territoriali” devono risalire i gradini della scala gerarchica, fino eventualmente ad arrivare, “verificatane la particolare rilevanza”, al direttore generale della pubblica sicurezza. Cioè lui stesso, al palazzo del Viminale. Più di un magistrato si mostra perplesso e preoccupato per questa “norma a dir poco sorprendente”, come spiega il procuratore di Torino Armando Spataro: “Ci sono possibili profili di incostituzionalità, ma c’è un contrasto anche con alcun norme del codice di procedura che attribuiscono al pm il ruolo di dominus esclusivo dell’indagine. Qui invece si stabilisce, attraverso un’evidente forzatura, che un atto non ancora valutato dal pm finisca sul tavolo di strutture direttamente dipendenti dal potere esecutivo. Così il segreto investigativo rischia di diventare carta straccia”. Secondo Spataro, “è un’ulteriore evoluzione della generale tendenza a spostare ogni attività verso l’esecutivo, persino la guida della polizia giudiziaria”. Sembra trapelare il timore di fughe di notizie verso il governo, e il procuratore spiega: “Non si tratta affatto di pregiudiziale sfiducia verso i vertici delle forze di polizia, è invece un problema di sistema. Tra l’altro, non è previsto alcun divieto per quei vertici di riferire all’autorità politica. È vero che per l’Arma esiste già una normativa simile, ma direttive interne richiamano la doverosa attenzione al rispetto del segreto investigativo. In questo modo si rende obbligatoria la comunicazione dell’esito delle indagini, e se ne amplia l’applicazione. In alcune indagini a me è capitato di impartire l’ordine scritto agli ufficiali di pg di non riferire ai propri superiori; in questa nuova norma bisognerebbe almeno prevedere una simile possibilità”. Giovanni Bianconi