IL SOLE 24 ORE
Il confronto sulla giustizia. Obiettivo del governo approvare la riforma con la delega sugli ascolti – Renzi: una barzelletta chiedere le dimissioni di Delrio
Intercettazioni, niente accelerazioni
Roma. La parola d’ordine, tra Palazzo Chigi e Largo del Nazareno, è tenere l’asticella bassa. Sui magistrati, sulle intercettazioni, e anche sul referendum sulle trivelle ormai vicino (si vota domenica 17 aprile, si veda l’articolo a pagina 23). Da qui il no comment alle parola del presidente della Consulta Paolo Grossi che ieri ha indirettamente invitato a votare per il referendum, quando è noto che la posizione ufficiale del premier e del Pd è per il non voto in modo da far mancare il quorum e far fallire la consultazione popolare. Se l’obiettivo è quello di non far andare la gente alle urne, non replicare è la cosa migliore. E lo stesso dicasi delle intercettazioni, dopo le dimissioni di Federica Guidi dal Mise in seguito alla pubblicazione sui giornali di un’intercettazione con il suo compagno Gemelli nell’ambito dell’inchiesta di Potenza sul petrolio. Inchiesta che, stando all’interpretazione di molti renziani, sembra sia stata congegnata apposta per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema del petrolio e quindi del referendum sulle trivelle.
Un intreccio scottante, quello intorno alle inchieste e ai rapporti con la magistratura, che ha dunque invitato alla cautela Palazzo Chigi dopo quella che sembrava un’accelerazione tra venerdì e sabato scorso. Nessun intervento nuovo sarà fatto in materia di intercettazioni – si ripete – c’è solo da approvare in Senato la riforma del processo penale che tra i suoi tanti articoli contiene anche la delega al governo sulle intercettazioni. Ma si tratta, spiega il responsabile giustizia del Pd, David Ermini, di una riforma «che non ne toccherà minimamente l’utilizzo». «I magistrati hanno il diritto di utilizzare come meglio credono le intercettazioni per l’amministrazione della giustizia – spiega Ermini -. Ma abbiamo posto un rilievo sulla pubblicazione di quelle poco rilevanti sui giornali per quelle persone che nulla hanno a che fare con il processo». Come nel caso dell’ex ministra Guidi, non indagata dai Pm di Potenza. D’altra parte, da Londra, è anche la ministra per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, a ricordare che sulla pubblicazione delle telefonate «serve un equilibrio migliore». E lo stesso Matteo Renzi ha parlato nei giorni scorsi dell’inutilità di rendere pubblici «pettegolezzi». Lasciando sullo sfondo l’argomento nei suoi colloqui con i cronisti ieri alla Camera. Salvo su un punto, quello del presunto dossier contro Graziano Delrio citato da Guidi e sul quale indaga la Procura di Roma: «Graziano Delrio è una delle persone più specchiate che ci siano, chiederne le dimissioni come fa l’opposizione è una barzelletta da respingere al mittente: se chi ne chiede le dimissioni avesse un decimo della moralità di Delrio sarebbe già una gran cosa».
La riforma del processo penale andrà dunque avanti, ma senza fretta per non incorrere in campagna elettorale (si vota nelle grandi città il 5 giugno) nell’accusa di voler intervenire contro i magistrati per mettere a tacere le inchieste come Berlusconi. E a questo punto è molto probabile che il sì del Senato, dopo quello della Camera, ci sarà dopo l’estate. E saranno comunque sempre i giudici – precisa ancora Ermini – a stabilire ciò che è rilevante da ciò che non lo è. Aggiunge da parte sua il neo presidente dell’Anm Piercamillo Davigo – dopo aver precisato di non volere commentare prima di aver riunito la giunta dell’associazione dei magistrati – che «si può discutere dell’idea di obbligare al segreto anche dopo il deposito dell’intercettazione». Se non proprio un cambio di passo, almeno prove di disgelo. Anche se Davigo ci tiene a puntualizzare che ci sono «molte inchieste e poche sentenze», come ha detto Renzi nei giorni scorsi, «perché c’è la prescrizione». E il leader Anm ammette: «I processi durano troppo perché ce ne sono troppi». Emilia Patta