IL DUBBIO
Le “conclusioni” del dibattito sulla riservatezza al Salone della giustizia
«Sulle intercettazioni pm intangibili, la colpa è solo dei giornalisti»
Sulle intercettazioni si gioca una partita molto simile a quella della responsabilità civile dei magistrati. Stesso schema, ma probabilmente sarà diverso l’esito: stavolta le toghe dovrebbero mettere il risultato al sicuro. Un indizio viene dal dibattito d’apertura al Salone della giustizia, evento in corso da ieri a Roma, su “Nuove frontiere della riservatezza”. Prende la parola il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, la figura che vorrebbe spingere quelle frontiere un po’ più in là: ricorda come «si possano portare tutte le istanze di questo mondo, ma sul tema degli ascolti c’è un nucleo intangibile: il giudizio di rilevanza di un colloquio è affidato esclusivamente al magistrato inquirente. È una prerogativa che non si può mettere in discussione». Giusto: lo dice il Codice. E allora però viene da chiedersi dove possa fondarsi un giudizio espresso nello stesso dibattito da un’altra relatrice, la vicepresidente del Garante per la Privacy Augusta Iannini, secondo la quale «anche sui giornalisti che pubblicano le trascrizioni ricade una importante responsabilità». Non è chiarissimo quale sia.
Il Codice dà tutto il potere al pm. E per ora non è in vista una riscrittura di quelle norme: l’unica riforma sarà realisticamente nelle linee guida in arrivo dal Csm. Ma se il potere di scelta ricade solo sugli inquirenti, perché mai non dovrebbe essere un magistrato a rispondere dell’eventuale violazione del segreto d’indagine?
Se lo chiede l’Ncd, che nei giorni scorsi ha sollecitato il guardasigilli Andrea Orlando a inserire nella riforma degli ascolti la figura di un “garante” delle intercettazioni. Al momento però il governo non può toccare palla: la legge delega è ferma in commissione al Senato, dove dovrà completarsi un nuovo ciclo di audizioni, nonostante Montecitorio avesse già fatto la propria indagine conoscitiva. Anche dal Salone della giustizia viene insomma un segnale, peraltro da un rappresentante istituzionale come la dottoressa Iannini, che è innanzitutto un magistrato. Il segnale è che l’autonomia e il potere delle Procure in materia di ascolti resta appunto intangibile. E che al massimo bisognerà tenere meglio a bada i cronisti. Che poi è quanto ha perfidamente concesso Piercamillo Davigo in una delle sue prime interviste da presidente Anm: «Se proprio volete cambiare qualcosa, inasprite le pene per il reato di diffamazione a mezzo stampa».
Naturalmente il problema resta, anche per i magistrati. Legnini ieri mattina è intervenuto anche a Repubblica tv: «Penso che i casi di abuso nella trascrizione, nella divulgazione, siano molto limitati», ha detto, «il problema è che fanno rumore, questi casi». Da qui l’esigenza per il Csm di tracciare delle linee guida. A cui i pm non saranno proprio “costretti” ad attenersi. Ma il vertice di Palazzo dei Marescialli, nei giorni scorsi, ha ipotizzato una qualche conseguenza per gli inquirenti poco attenti alle norme sull’inutilizzabilità delle conversazioni “sensibili”. Quei pm potrebbero pagare la loro disinvoltura quando il Consiglio superiore dovrà sottoporli a valutazioni di professionalità, «anche al fine di conferire incarichi direttivi». Sembra già qualcosa, rispetto al nulla della riforma silenziata in Parlamento. Ma qui si compirebbe quello che il ministro della Giustizia, due anni fa, riuscì a evitare sulla responsabilità civile: l’individuazione del Csm come unico giudice degli errori delle toghe. Prima che quella riforma arrivasse al clou dell’esame in Parlamento, l’Anm chiese a Orlando di dirottare verso la sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli tutti gli errori dei magistrati, che avrebbero dovuto essere valutati solo come illeciti disciplinari. Il guardasigilli disse no, perché al Csm «il peso delle correnti è ancora eccessivo». Adesso, fa notare un esponente del Pd impegnato sui temi della giustizia, quel meccanismo rischia di essere introdotto per le intercettazioni. «E anzi gli eventuali abusi dei pm possono diventare un’arma proprio nelle mani delle correnti che, anziché punire i responsabili, la userebbero per definire rapporti interni e scelte di carriera». Il rischio c’è. Come quello che ad essere additati quali artefici dell’indebita diffusione dei brogliacci restino solo gli avvocati. O al massimo i giornalisti. Errico Novi