L’INCHIESTA: Le mani del faccendiere sul software con i segreti delle Procure italiane (Il Corriere della Sera)

IL CORRIERE DELLA SERA

Le mani del faccendiere sul software con i segreti delle Procure italiane
ROMA Le banconote scambiate e contate dal «faccendiere» Lino Pizza e dall`onorevole Antonio Marotta, secondo gli inquirenti avevano una contropartita: favorire il Consorzio servizi integrati di Luigi Esposito in un appalto per la pulizia e manutenzione di alcuni edifici della pubblica 
amministrazione. Pizza ne parla con Esposito in una conversazione intercettata il 9 gennaio 2015: «Ho scaricato una cosa per far fare lei… È importantissima questa cosa qua… ci dà la possibilità di vincere la gara… I13 ci penso io… porti tutti a coso… all`onorevole…».
«Quei soldi bisogna nasconderli»
Il 3 marzo, quasi due mesi dopo, un uomo che gli investigatori della Guardia di finanza identificano proprio con Esposito s`incontra con Marotta nell`ufficio di Pizza in via in Lucina. Parlano a voce bassa, il deputato socchiude una tenda scorrevole, le microspie registrano. Esposito: «Dovete martellare, capito?». Marotta: «Non mi dite niente… io lotto fino all`ultimo minuto… pure dopo», e ride. Un`ora dopo, nello stesso ufficio, ecco Marotta 
e Pizza «intenti – annotano i finanzieri – a contare e ripartire i soldi consegnati da Esposito». Marotta: «Oh… è venuto…». Pizza: «Mica so` scemo… Vedi questi qua? Questi se tu vedi… cinque so` i tuoi…». Marotta: «E questi che 
erano cinque, quattro per te…». Continuano a contare, poi Pizza dice: «Bisogna nasconderli… perché c`è Marzia…». Nei mesi successivi vengono registrati altri incontri e contatti telefonici che fanno concludere ai pubblici ministeri: «Emergono scenari delittuosi in fase di progettazione, attuazione e finalizzazione, strumentali a influenzare pubblici incanti (cioè gare 
pubbliche per l`assegnazione dei lavori, ndr) e agevolare l`acquisizione da parte del Consorzio sistemi integrati» dell`appalto a cui era interessato. 
E il capitolo della richiesta d`arresto avanzata dalla Procura intitolato «La corruzione dei pubblici ufficiali», pagine di un intreccio politico-affaristico 
nel quale i protagonisti tentano in tutti i modi di proteggersi 
dalle indagini. Come quando l`inquisito Alberto Orsini, l`11 novembre 2014, all`indomani di una perquisizione avverte un presunto complice: «Io c`ho paura che mi rivengono a visità `n`altra volta, quindi levame da mezzo tutta la roba de Lino Pizza». Un paio di settimane dopo lo stesso Orsini 
spiega: «C`aveva tutta una serie di aziende cancellate, con i faldoni belli precisi… l`ho presi e ho buttato via tutto».
Acqua e candeggina per distruggere i pc
Alcuni computer sarebbero stati distrutti usando acqua e candeggina, mentre nel timore di essere ascoltato Pizza si era dotato di un «apparato disturbatore 
di frequenze per schermare i colloqui e ostacolare un`eventuale attività di intercettazione», procurato da «una persona vicino agli apparati di intelligence, non meglio identificata». Come spesso accade, però, le contromisure non sono sufficienti, e così le cimici della Finanza hanno registrato la bonifica ordinata dallo stesso Pizza nelle stanze di via in Lucina. La persona chiamata a verificare se ne va assicurando: «Tutto a posto…». 
Nel tentativo di carpire i segreti dell`inchiesta a loro carico, gli indagati hanno anche attivato un paio di appartenenti alla Guardia di finanza, 
i quali a loro volta si sono rivolti a colleghi o a un meglio definito «segretario di un procuratore antimafia».
La rete di contatti per gestire il «Tiap»
Ma il vero obiettivo di Lino Pizza sembra essere quello di mettere le mani sul software che gestisce i dati delle Procure italiane. «E emerso – scrivono 
gli inquirenti – l`interesse dell`indagato a veicolare all`interno della pubblica amministrazione soggetti interessati alla gestione del sistema di Trattamento informatizzato atti processuali», il Tiap. Il progetto è quello di «implementare» il software già in uso negli uffici giudiziari. E, per metterlo in atto, Pizza cerca sponde. «Emergono riferimenti a rapporti o contatti diretti intercorsi con Roberto Rao, consigliere economico del ministro della Giustizia, Gianni Di Pietro, ex deputato del Pd, e Massimo Sarmi, già amministratore delegato di Poste Italiane», scrivono gli investigatori. Che registrano riferimenti a decine di altri nomi: dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini (si parla di un incontro dall`esito ignoto) al procuratore aggiunto di Roma Laviani («Perché non scrive una lettera al ministro?»); dal capo di gabinetto del Guardasigilli Giovanni Melillo («Blocca tutto, dice che è meglio rifarlo»), al finanziere Carrai, amico del premier Renzi («può essere funzionale a questo discorso?»), fino al sottosegretario Luca Lotti (si preoccupano che abbia incontrato una società rivale) e al deputato del Pd Ernesto Carbone («Si sarebbe interessato al progetto»). Il perché di tutto questo brigare è riassunto in una frase intercettata: «I tecnici avranno la possibilità di guardare la fase di indagine preliminare… Quindi quando ancora… (inc) fatto niente… però io c`ho tutto sotto…». Gianiuca Abate Giovanni Bianconi

Foto del profilo di Andrea Gentile

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