IL SOLE 24 ORE
Giustizia civile, la delega «scivola» sulla class action
di Guido Alpa
Quest’anno la XII edizione di Doing Business (World Bank Group) non è preoccupante, per il nostro Paese, come è accaduto per gli anni passati. Da autentico incubo che si annunciava nelle relazioni di apertura dell’anno giudiziario presso la Corte di cassazione e nelle sedi di Corte d’appello, dove con imbarazzo i relatori avvicinavano la posizione dell’Italia a quella del Burkina Faso, si è trasformato in un documento assai articolato in cui, nel capitolo sull’esecuzione dei contratti, si rileva che le limitazioni alla libertà contrattuale vigenti da noi sono accettabili (a livello 6/10) rispetto a quelle di altri Paesi Ue, come la Francia o il Regno Unito in cui sono in numero superiore.
Le riforme della amministrazione della giustizia, quelle già attuate, quelle in via di attuazione e quelle annunciate dovrebbero – almeno sulla carta, dal punto di vista dell’immagine e ai fini della “risalita” nelle statistiche della Banca mondiale – portare a un notevole miglioramento della situazione. È in questa prospettiva che val la pena di leggere lo «schema di disegno di legge di delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile» che interessa tutti gli operatori, magistrati, avvocati, oltre che naturalmente le imprese e i cittadini. Lo schema è sintetico, ma assai vasto per l’area alla quale estende la nuova normativa, riguardando la competenza del tribunale delle imprese, il tribunale della famiglia e della persona, modifiche al Codice di procedura civile, l’immediata provvisoria efficacia delle sentenze di primo e di secondo grado, l’incentivazione dell’arbitrato, la semplificazione dell’esecuzione, dei procedimenti speciali, i miglioramenti sul personale. Nonchè una nuova disciplina dell’azione di classe.
Affrontando solo il primo tema – il tribunale dell’impresa – è agevole notare che lo scopo del legislatore è rivolto ad accelerare le procedure, ad assicurare agli interessi delle imprese una particolare tutela, a concentrare nelle sezioni specializzate le materie che richiedono una particolare preparazione tecnica dei giudici, lasciandone inalterato l’attuale numero, e ampliandone la competenza. La gestione della crisi economica, la lenta ripresa dello sviluppo, la cattiva fama e la pessima immagine del Paese alimentata anche dalle vecchie statistiche di Doing Business hanno avuto la meglio su altri criteri di intervento che si potevano escogitare per migliorare il funzionamento della macchina della giustizia.
Siamo di fronte all’usuale tecnica, di modificare le regole del processo – che non comportano costi (apparenti) – e di risparmiare sulla spesa pubblica. Tutti sanno, per la verità, che il continuo cambiamento delle regole del processo produce incertezza del diritto, disorientamento degli addetti ai lavori, disagi e criticità nel cosiddetto diritto intertemporale. A ciò si potrebbe aggiungere che se i tribunali delle imprese si sono segnalati per la loro efficienza, analoghi risultati saranno ben più difficili da ottenere ove se ne ampliasse la competenza, caricando di migliaia di nuovi processi quelle sezioni “virtuose”.
Ma non è questo quel che si vuol mettere in evidenza qui. Quando si parla di limitare, di contenere o di smaltire il contenzioso delle imprese, si pensa a settori assai circoscritti, piuttosto che non a quelli nei quali il contenzioso è particolarmente sviluppato, come il lavoro o l’ambiente. Poi quello dei consumatori: ha senso attribuire ai tribunali delle imprese la competenza in materia di pubblicità commerciale, quando la si potrebbe affidare interamente ed esclusivamente all’autorità garante della Concorrenza e del mercato, che già se ne occupa? E che dire delle clausole vessatorie, che le imprese potrebbero eliminare dai loro contratti e invece continuano a perpetuare, alimentando un contenzioso inutile? E che dire dei ritardi nei pagamenti, degli inadempimenti quasi sistematici alle garanzie nel trasferimento di pacchetti azionari, alle carenze informative nei contratti di investimento dei risparmiatori?
Ma vi è di più. Da un lato il legislatore vuol favorire le imprese, dall’altro, però, le danneggia irrimediabilmente. La disciplina dell’azione di classe, così come concepita, estraendola dal Codice del consumo e inserendola nel Codice di procedura civile quale rimedio “generale”, consentendo poi ai portatori di diritti e interessi omogenei di richiedere il risarcimento del danno dopo che il procedimento si è concluso, magari con un’onorevole transazione, o con il deposito della sentenza, implica che l’impresa non potrà calcolare l’ampiezza del rischio e che non saprà determinare l’ammontare complessivo del danno a cui sarà condannata.
Insomma, le riforme sono apprezzate da tutti , ma occorre migliorare le proposte e correggere il tiro.