L’INTERVENTO: La Giustizia scopre il dono della sintesi di Bruno Tinti (Il Fatto Quotidiano)

La Giustizia scopre il dono della sintesi

di Bruno Tinti

DA MAGISTRATO a giornalista, ho dovuto imparare a ridimensionare lo spazio. Prima, potevo scrivere richieste di misure cautelari di decine di pagine; e appelli di centinaia. Dopo, ho dovuto fare i conti con le “battute”:
3000 per la rubrica, 4500 per i commenti, in casi eccezionali 5500; compresi gli spazi. Talvolta ho “sforato”, 200, 250 battute, non di più. Dopo un po`, ho scoperto che bastavano; e che i lettori, che non avrebbero mai letto decine di pagine, leggevano, criticavano, qualcuno apprezzava. A un certo punto ho pensato che, ai miei tempi di pm, qualche richiesta o appello erano stati respinti perché avevo scritto troppo. Siamo seri, chi legge 300 pagine; per non dire 1000? E poi, se le legge, bisogna che se le ricordi; che, alla fine, metta in
relazione gli argomenti, continui a percepire quei nessi che, dopo centinaia di pagine, inevitabilmente diventano labili e confusi. Così, adesso che ho letto il decreto 25/5/2015 n. 40 del presidente del Consiglio di Stato, sono stato molto soddisfatto: perché è la prova che la mia evoluzione, diciamo così, è stata nel senso giusto; e perché c`è la possibilità che la Giustizia italiana ne faccia una analoga.

Dice dunque il decreto che i ricorsi e gli atti difensivi devono essere redatti in formato A4, utilizzando uno dei caratteri tipografici di “tipo corrente” e di dimensioni non inferiore a 12pt, con un`interlinea di 1,5 e margini orizzontali e verticali di 2,5. Di pagine così formate ne devono essere utilizzate
al massimo 30, a eccezione delle domande per misure cautelari che non devono superare le 10. Siccome una pagina con queste specifiche contiene circa 2500 battute, spazi compresi, sarebbe stato sufficiente dire che i limiti sono 75000 battute nel primo caso e 25000 nel secondo; che se le scrivano come vogliono.

Si tratta della prima attuazione pratica di quanto imposto, nel processo amministrativo, dall`art. 40 del dl 90/2014. Nulla si dice quanto alle sentenze che pure, a norma dell`art. 3 del Codice del Processo amministrativo (d.lgs 104/2010), dovrebbero essere analogamente succinte; così come, per quel che riguarda la Giustizia ordinaria, si prevede negli artt. 118 disp. att. c.p.c.
e 546 c.p.p. È un bicchiere mezzo pieno, insomma; ma sufficiente per stimolare la sete. Questi principi, applicati all`intero mondo della Giustizia, la catapulterebbero almeno nell`era presente; per quella futura ci andrebbe
ancora qualcosa.

PRIMA di tutto. Gli atti devono essere dattiloscritti. Sembra inutile dirlo, e forse nel processo amministrativo lo è. Ma nel processo civile e in quello penale non lo sarebbe: di atti scritti a mano ce n`è ancora, soprattutto di
sentenze. Illeggibili, non trasformabili in file (se non immagine), non trasmissibili né consulta bili on line, non suscettibili di copia incolla,
sono un incubo per i gradi successivi di giudizio. E poi. La sinteticità nell`argomentare significa una diminuzione dei tempi necessari per
contro dedurre. È ovvio che questo non piace a chi è abituato ad affrontare fin nelle minime pieghe ogni questione.

Ma il punto è: ce lo possiamo permettere? È meglio una decisione rapida,
sinteticamente motivata; o un trattato giuridico che arriva a prescrizione
maturata? Nel migliore dei mondi possibili la risposta è ovvia: ma, quando la durata media (media!) di un processo è di 8 anni la sinteticità negli atti e sentenze è una necessità, non un`opzione.

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