L’INTERVENTO: La riforma della giustizia resti fuori dai soliti giochi di Carlo Nordio (Il Messaggero)

La riforma della giustizia resti fuori dai soliti giochi

di Carlo Nordio

Se è vero che, come recita l`Ecclesiaste, ogni cosa ha il suo tempo e c`è un tempo per ogni cosa, il momento scelto dal governo per l`approvazione della riforma della giustizia penale non poteva essere peggiore. Questo argomento è infatti diventato una sorta di tabù, soprattutto da quando le vicende processuali di Berlusconi hanno collocato una pesante ipoteca su
ogni iniziativa innovatrice, vista a seconda dei casi, a torto o a ragione, come un favore o un dispetto nei confronti del Cavaliere.
Ma proprio perché questo terreno è minato da ordigni fatali collocati da forze opposte ed eterogenee – magistratura, avvocatura, opposizioni esterne
e minoranze interne, garantisti interessati e giacobini forcaioli – la prudenza avrebbe consigliato un`occasione migliore. Per intenderci, non esattamente nell`imminenza del referendum, quando la minima oscillazione di schieramenti può compromettere la sopravvivenza del governo, della legislatura e, forse, la nostra credibilità nell`Unione Europea.
Non entreremo nel merito di questa riforma, già pesantemente criticata dall`Associazione magistrati e vista con scetticismo anche da ambienti
non pregiudizialmente ostili al governo. Per conto nostro, pur ammettendone la buona volontà degli autori, crediamo che farebbe la fine delle precedenti, edificate su due impalcature decrepite.
Parliamo del codice penale, che è del 1930 e reca la firma di Mussolini, e di quello di procedura, ormai snaturato da tante aggiunte e soppressioni da renderlo incomprensibile. In definitiva, se approvata, non servirà a niente, perché non si mette vino buono nella botte marcia. Ma questo discorso ci porterebbe a un futuro troppo lontano. Limitiamoci dunque a considerare il presente.
L`errore più grave del governo, a ben vedere, non è stato o quello di introdurre un`ennesima pezza sul vestito di Arlecchino: in questo ha avuto precedenti illustri e recenti, anche più dilettanteschi e funesti. E nemmeno quello di scegliere, come dicevamo, un momento difficile con una maggioranza volatile: si può sempre, per ragioni tecniche, aggiornare la discussione rinviando tutto all`anno nuovo. L`errore più grave, ci pare, è stato quello di manifestare un`esitazione nuova ed estranea all`immagine consolidata del primo ministro. Esitazione che può essere interpretata come
debolezza, sconfinante nella subalternità. Che senso ha, infatti, condizionare la fiducia sul provvedimento all`”amicizia” o all`ostilità della magistratura? Non si era sempre detto, e a ragione, che una legge è frutto di meditazione culturale e magari di mediazione politica, ma che una volta definita non può essere influenzata da forze diverse da quelle espresse dalla volontà popolare?
Se un progetto è buono, lo si mantiene; se è controverso, lo si discute; se è cattivo, lo si cambia. Ma non lo si espone ai capricci – e Dio non voglia ai ricatti – di organismi estranei all`istituzione parlamentare. A maggior ragione quando lo stesso governo si è avvalso dello strumento della fiducia su questioni di assai minor rilievo, anche a costo di doversi smentire per ben
due volte, come quando ha incautamente rottamato cinquecento magistrati senza prospettarsene le conseguenze sull`efficienza degli uffici giudiziari.
Queste cose le diciamo con rammarico, perché mai come ora il Paese ha avuto bisogno di stabilità e di coerenza: ma se questa viene meno, anche quella
rischia di saltare. E se le ragioni del referendum impongono una logica di realistico pragmatismo, non è il caso di comprometterne gli esiti con questi
tentennamenti su argomenti vitali. La giustizia ha aspettato tanto, e soprattutto aspetta ancora riforme ben più incisive e radicali di quella oggi contestata.
L`auspicio è che, recuperata l`originaria energia, il governo le sappia affrontare al momento giusto con lucidità e coraggio, senza guardare in faccia a nessuno.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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