L’INTERVENTO: ” Per l’economia servono regole certe – di Renato Rordorf – Presidente aggiunto della Corte di Cassazione (La Stampa)

LA STAMPA

Per l’economia servono regole certe

di Renato Rordorf – Presidente aggiunto della Corte di Cassazione

Si afferma spesso che il cattivo funzionamento della giustizia è tra le principali ragioni per le quali il nostro Paese non attrae a sufficienza investitori stranieri. Le disfunzioni della giustizia si traducono in un handicap
economico del quale tutti in varia misura soffriamo. In qualsiasi contesto sociale, quando la giustizia funziona male prima ancora dell`economia è il livello stesso della civiltà a soffrirne. Ma resta pur sempre innegabile che l`eccessiva durata dei giudizi e la scarsa prevedibilità delle decisioni contribuiscono a scoraggiare chi, volendo fare impresa in Italia, deve
inevitabilmente mettere in conto l`eventualità di incappare in qualche controversia e deve, quindi, valutarne preventivamente i rischi ed i costi.
Di ciò bisogna avere piena consapevolezza; e mi riferisco non solo al legislatore che pone le regole sulle quali il diritto dell`economia si basa, ma anche a coloro i quali – a cominciare dal giudice – quelle regole sono chiamati ad interpretare e ad applicare. E` indispensabile la corretta percezione del
contesto economico (e sociale) in cui le norme di diritto sono destinate a calarsi e degli effetti, magari anche indesiderati, che ne possono scaturire. Chi
maneggia il diritto deve saper comprendere il valore di quegli interessi, saperli soppesare e, all`occorrenza, equamente contemperare.
Un corretto rapporto tra giustizia ed economia postula dunque necessariamente che coloro ai quali è affidata l`attuazione degli obiettivi di giustizia – i giudici, in primo luogo – non solo siano esperti di codici e pandette ma abbiano altresì la capacità di comprendere i presupposti e le conseguenze
economiche delle regole che applicano e del modo in cui lo fanno. E` questione di formazione professionale e di specializzazione.
Negli ultimi anni qualcosa si è fatto, ma molto resta ancora da fare: è definitivamente cessato il tempo in cui un giudice (o un avvocato), in quanto professionista del diritto, poteva contemporaneamente occuparsi di fallimenti e quotazioni di Borsa, ma anche di divorzi ed adozioni, nonché magari di furti ed omicidi e di molto altro ancora.
Affermare che la giustizia deve sapersi far carico degli aspetti economici della realtà cui si riferisce non significa però affatto che questi aspetti ne esauriscano la funzione. Non sempre il giusto s`identifica con l`utile, e talvolta il diritto ha delle sue ragioni che l`economia non intende. Può accadere che il confine sia labile, perché anche gli interessi di natura economica ben possono assurgere al rango di diritti fondamentali (come non pensare al conflitto tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute che la nota vicenda dell`Ilva di Taranto ha messo di recente in primo piano?). Ma nessuna società che voglia dirsi civile, nessuna organizzazione sociale che pretenda di chiamarsi Stato di diritto potrebbe rinunciare ad ammettere che vi sono limiti oltre i quali i diritti delle persone non sono sacrificabili a esigenze economiche, fossero pure di ordine generale.
Non si tratta però solo di questo. Accade negli ultimi tempi sempre più spesso che l`analisi economica dei fenomeni giuridici (di per sé positiva) generi
nel legislatore una singolare tentazione: quella di voler adoperare il diritto come se fosse un vero e proprio strumento di manovra economica. Al sorgere di una crisi o di una qualsivoglia difficoltà che attanagli il mondo dell`economia si tende a rispondere con interventi di tipo normativo, sul presupposto che sia la cattiva regola ad aver generato il problema e che per risolverlo basti perciò mutare quella regola. Col risultato che, permanendo
o aggravandosi ulteriormente il problema, ci si accanisce a mutare più e più volte la regola, finendo per complicare enormemente il lavoro degli
interpreti – dubbiosi su quale regola applicare, da quando e fino a quando e quindi per accrescere l`incertezza del diritto con tutto ciò di negativo che, anche sotto il profilo economico, ne consegue.
Così, per fare un solo esempio, la disciplina dell`istituto del concordato preventivo, destinata a consentire soluzioni negoziali della crisi e dell`insolvenza delle imprese ipoteticamente meno dispersive di valore di quanto sia il fallimento, dopo una radicale riforma intervenuta nel 2005 ha subito nell`ultimo decennio modifiche normative quasi annuali. Ma
come fare ad analizzarne in modo adeguato gli effetti nell`impossibilità
di costruire serie statistiche che vadano molto più in là della durata dell`anno? L`irrequietezza del legislatore e soprattutto la sua scarsa
propensione a ragionare in termini di lungo periodo contribuiscono in ampia misura ad aggravare l`incertezza della giurisprudenza e la sua relativa
imprevedibilità, perché per affermarsi e consolidarsi essa ha bisogno di casistiche significative e di un fisiologico periodo di maturazione.
I valori della giustizia e le esigenze dell`economia, insomma, non sono affatto antitetici, ma per rapportarsi reciprocamente in modo virtuoso hanno bisogno di potersi confrontare tra loro su un terreno meno precario di quanto oggi accade

Foto del profilo di Andrea Gentile

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