L’INTERVENTO: Per una vera giustizia tributaria non basta cambiare il processo di Roberto Lunelli – Presidente nazionale vicario dell’Anti – Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Per una vera giustizia tributaria non basta cambiare il processo

di Roberto Lunelli – Presidente nazionale vicario dell’Anti
Associazione Nazionale Tributaristi Italiani

Lun.18 – Una vera giustizia tributaria può essere realizzata solo attraverso una riforma che riguardi l’intero ordinamento tributario per farlo diventare “sistema”: deve, quindi, interessare la normativa sostanziale (i tributi), quella procedimentale (l’accertamento) e, infine, la disciplina del processo tributario, inteso non solo come procedura, ma anche – e soprattutto – come risultato in termini di affidabilità. Una riforma che, attraverso una serie di Testi Unici, porti a un Codice tributario.
Se, invece, ci si limita a considerare la giustizia tributaria come quella amministrata dai giudici, allora ci si deve concentrare non tanto sul processo, ma sugli organi di giustizia; e procedere a una riforma ordinamentale con la consapevolezza che un settore così importante e delicato non può continuare a essere amministrato da “giudici onorari”, ma esige “giudici professionali” a tempo pieno, con status giuridico e trattamento economico pari ai magistrati di altre giurisdizioni. Giudici che non costerebbero di più, alla collettività: al posto degli attuali 4.668 previsti (di cui 3.253 in servizio) a tempo assai parziale, sarebbero sufficienti meno di mille giudici tributari a tempo pieno.
Ho molto apprezzato le considerazioni del presidente del Cpgt Mario Cavallaro (sul Sole 24 Ore del 24 marzo), che ipotizza di «affidare alle Corti di secondo grado anche la competenza in sede di legittimità, come avviene già presso il Consiglio di Stato». Anche perché potrebbe così essere risolto (almeno in parte) il nodo della Cassazione, che costituisce oggi l’aspetto più evidente di un sistema che non funziona: una media di 66 mesi per una decisione e ogni anno più di 7 mila sentenze/ordinanze (non sempre “di qualità” e con troppe eccezioni alla funzione nomofilattica).

Indicazione interessante e suggestiva, quella del presidente Cavallaro, da considerare alla luce della nostra Costituzione e che vedo, comunque, “lontana”, perché – anche se praticabile – dovrebbe superare “schemi” inveterati. Per evitare un dannoso immobilismo – dopo un indifferibile avvio della procedura (selettiva/concorsuale) per arrivare, entro 3-5 anni, a organi giudicanti costituiti da giudici tributari “professionalizzati” – a me pare opportuno procedere a quel radicale riordino ordinamentale, che, peraltro, dovrà “scontare” una fase transitoria: sia per ragioni organizzative che per salvaguardare gli innegabili valori di scienza ed esperienza acquisiti dai tanti giudici tributari che hanno assicurato, negli anni, dignità e onore alla carica e alla funzione. Del resto, serietà ed efficienza di qualsiasi istituzione dipendono dalle persone che ne fanno parte; e a ben poco varrebbe un’ottima normativa se chi deve applicarla – quale che sia la ragione – non è in grado di farlo.
Dai dati statistici emerge che, nei due gradi del giudizio di merito, le controversie tributarie – di valore complessivo di quasi 34 miliardi – possono suddividersi in: «minori» (fino a 20mila €) pari, in termini numerici, al 65% e che valgono il 3% del totale (fra esse anche quelle «minime», fino a 2.500 €, pari al 37% del totale, per valore meno dell’1%); «medie» (fra 100mila e 1 milione) che sono numericamente il 28% e in valore il 25% del totale; «maggiori» (sopra il milione) che sono poche (il 2%), ma valgono molto (il 73%). I 2/3 (due terzi) delle vertenze tributarie valgono, quindi, il 3% del totale e il 2% (meno di 5 mila vertenze) vale quasi 3/4 del totale (più di 24 su 34 miliardi).
Di qui la proposta:
affidare a un giudice monocratico, le (tante) controversie «di (relativamente) modica entità» e ritenute – da un collegio costituito da tre presidenti o vicepresidenti di sezione degli organi giudicanti – non particolarmente complesse né rilevanti sul piano economico-sociale (l’articolo 10 della legge delega 23/2014 ipotizza, in questi casi, la «composizione monocratica dell’organo giudicante»: se il giudice è professionale, a me pare dia sufficienti garanzie);
continuare ad affidare tutte le altre controversie a un Collegio possibilmente a composizione mista per le cause “medie”; e sempre a composizione mista (perché richiedono competenze economiche e contabili, oltre che giuridiche) e specializzato per le cause “maggiori” (sopra 1 milione) e quelle ritenute dagli stessi giudici “delicate” perché complesse o perché involgono princìpi o problemi sociali.
In definitiva, serve un processo tributario che aggiunga, agli interventi già operati sul decreto 546/1992 dal decreto legislativo 156/2015, alcuni istituti giuridici: come la regola (non l’eccezione) della pubblica udienza; la possibilità di valersi, in certe circostanze, anche della prova testimoniale; e, soprattutto, che sviluppi e perfezioni l’utilizzo della posta elettronica certificata, per pervenire, in tempi brevi, al processo tributario telematico ovunque. Ma serve, soprattutto, una seria riforma degli organi di giustizia (tribunali e corti d’appello) composti da giudici tributari professionali, a tempo pieno, dotati di status giuridico e trattamento economico pari a quello dei magistrati delle altre giurisdizioni; se, poi, per le cause “minori” il giudice è a composizione monocratica, non vedo rischi per la giustizia; anche perché, spesso, “il meglio è nemico del buono”.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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