IL SOLE 24 ORE
Più poteri sugli appalti, l’Anac deve adeguarsi
di Stefano Bigolaro
Ci chiamiamo tutti avvocati, ma le cose che facciamo sono diverse. A Rimini il Congresso nazionale forense ha preso decisioni importanti per la rappresentanza dell’avvocatura, ma nel diritto amministrativo le dinamiche esterne sono più veloci. Così il tema del Congresso – la giustizia senza processo – sta forse per trovare un’attuazione inaspettata: c’è una forte crisi del contenzioso, col costante calo dei ricorsi che ha portatol’attività di alcuni Tar ai livelli di quando sono nati, nonostante una robusta inserzione di ricorsi sui permessi di soggiorno. Segno di un calo degli atti illegittimi? Difficile. E nemmeno la crisi economica basta a spiegare. Pesa pure l’ingiusta barriera posta con un contributo unificato abnorme in certi settori (appalti). E ci sono anche cause generali, come la sfiducia nella possibilità di ottenere ragione e la persistente tendenza ad una ridotta percentuale di accoglimento dei ricorsi, ancor più penalizzante dal punto di vista del legale, che dissuade egli stesso il cliente.
Il giudice amministrativo, poi, deve ricordarsi di essere prima di tutto terzo tra parti in posizioni pariordinate: deve valutare non l’interesse pubblico, ma la legittimità degli atti. Anche se non è facile: egli ha una genetica “vicinanza” all’amministrazione e sconta una percezione dell’opinione pubblica che lo vede un pericolo per l’economia, perché in grado di bloccare opere pubbliche per ragioni solo formali. E il fatto che al Congresso sia stato il ministro a dire che la giustizia amministrativa è una «lotteria» non è buon segno.
Ora si aggiunge la separazione tra la fase delle ammissioni e quella dell’aggiudicazione prevista del nuovo Codice dei contratti, col regime di preclusioni all’impugnazione che ne deriva.Separazione condivisa dal Consiglio di Stato e non imposta dalle direttive comunitarie che il Codice dovrebbe attuare. Il ricorso diventa un percorso a ostacoli: si è costretti ad agire quando non c’è alcun interesse a farlo, in tempi oltremodo ristretti, duplicando il contributo unificato. Per non parlare del “rating di impresa” connesso ai requisiti reputazionali, che tengono conto del contenzioso promosso nelle procedure di gara (il che sembra davvero punitivo). Il sistema è incostituzionale e in contrasto con la normativa comunitaria.
Ma c’è un fatto nuovo: due norme del Codice dei contratti pubblici attribuiscono all’Anac poteri amplissimi, su più livelli. Da quello normativo a quello di intervento diretto nella singola procedura a garanzia della legittimità degli atti, con possibilità di vincolare l’amministrazione a un certo comportamento e irrogare sanzioni amministrative direttamente al funzionario. Poteri del genere, tutti insieme in un unico soggetto, non si erano mai visti nel nostro ordinamento, e non c’entrano con la corruzione. Non c’è da star tranquilli. Ma, nel vuoto di tutela creato dall’arretrare della giustizia amministrativa dagli appalti pubblici, i poteri di intervento diretto dell’Anac sono importantissimi. È fondamentale che ci sia un’Autorità a garantire la legittimità del singolo appalto e con essa la tutela degli operatori.
Ma l’Anac deve sapersi strutturarsi adeguatamente, in modo da esistere anche a prescindere dalla presenza e dalla visibilità attuale del suo presidente. Occorre che sappia procedimentalizzare la sua attività, garantendo l’effettiva partecipazione degli interessati e il contraddittorio e ciò non deve essere un fatto interno all’Anac. Deve esserci la partecipazione delle comunità di soggetti (e dunque delle associazioni di avvocati) destinatari delle norme da assumere. Su questo l’Unione nazionale avvocati amministrativisti ha portato al Congresso una raccomandazione.
Sarebbe preferibile avere in ogni caso un giudice delle liti sugli appalti. Ma, se al ricorso al giudice amministrativo vengono posti così tanti ostacoli, allora meritano di essere precisati e valorizzati i poteri attribuiti all’Anac, garantendo che essa si doti di una disciplina adeguata.