SETTE – Il Corriere della Sera
Quei diritti che valgono solo a metà
Un detenuto marocchino si fa 208 giorni di carcere in più del dovuto ma gli dimezzano il risarcimento. Un “buffo” caso di giustizia amministrata “a piacere”
di Luigi Ferrarella
Diritti “à la carte”, nel senso che bisogna chiederli alla cassa per farseli erogare, altrimenti nessuno te li riconosce all`interno del “menù” teorico?
Il dubbio a volte viene quando ci si trova in un ganglio della macchina giudiziaria.
E viene soprattutto a coloro che sono più sprovveduti o indifesi. Al punto da
vedersi paradossalmente poi rimproverare la propria incapacità di stare al mondo – in questo tipo di mondo – come “colpa” tale da ridimensionare il pur esistente diritto a una riparazione del torto subìto.
È il caso buffo, se non fosse molto serio, di un 28enne marocchino che, dovendo scontare una condanna definitiva con fine pena il 3 agosto 2014, era invece stato scarcerato in giugno appena il carcere di Biella aveva segnalato alla Procura che per il medesimo procedimento il detenuto aveva già scontato custodia cautelare dal giugno 2009 al marzo 2010. Era dunque pacifico che il marocchino fosse rimasto in carcere 2o8 giorni in più, sulla base di un titolo di detenzione emesso per errore, giacché in realtà aveva già scontato in carcere (come custodia cautelare) il periodo corrispondente alla pena da
eseguire. Ed era quindi indubbio che dovesse ricevere l`indennizzo di legge per l`ingiusta detenzione patita.
Ma ecco che il ministero dell`Economia, attraverso l`Avvocatura dello Stato, obietta che era stata colpa del detenuto, in quanto aveva fornito false generalità e così aveva di fatto indotto in errore il Dipartimento dell`amministrazione penitenziaria (Dap), a torto convinto che l`uomo non
fosse mai stato detenuto in Italia quantomeno dal 199o. Ma la Corte d`Appello, competente a decidere sugli indennizzi, osserva che questa tesi non sta in piedi: non soltanto perché le generalità erano diverse da quelle esatte solo per una lettera, il che «potrebbe verosimilmente essere attribuibile a una erronea comprensione e trascrizione delle generalità dichiarate»; ma anche perché perfino l`erroneo ordine di esecuzione indicava che l`uomo era stato detenuto dal 2010, cosa che evidentemente smentiva l`indicazione che egli non fosse mai stato presente in alcun carcere italiano dal 1990.
L`errore, insomma, era invece stato proprio dell`apparato giudiziario, nel
momento in cui non era stato trasmesso all`organo della esecuzione il fascicolo del giudizio di primo grado relativo alla custodia cautelare che il marocchino aveva subìto in quella fase del procedimento. Lo Stato, per resistere in giudizio e provare a non pagare, introduce allora un secondo argomento: sarebbe stata comunque “colpa” del detenuto, perché era rimasto inerte una volta ricevuto l`errato ordine di carcerazione.
Il detenuto, difeso dall`avvocato Deborah Piazza, spiega però ai giudici che aveva provato molte volte a dirlo agli agenti di custodia, cadendo preda della disperazione e di gesti di autolesionismo per il fatto di non essere creduto, fino a quando proprio l`attivazione del personale penitenziario e i successivi accertamenti informatici avevano fatto venire a galla che il detenuto non era uno di quelli che si inventavano i più disparati pretesti, ma aveva proprio ragione.
E tuttavia la Corte d`Appello dimezza ugualmente la somma in teoria indennizzabile al giovane marocchino per i 208 giorni di ingiusta detenzione, da 49.000 euro a 25.00o euro: perché? Perché la legge prevede che non vi sia riparazione per ingiusta detenzione, o vi sia in misura minore, se la vittima ha in qualche modo concorso all`errore di cui domanda la riparazione.
Quindi il profilo di “colpa”, non grave ma ravvisato, per i giudici starebbe nel fatto che il detenuto «non si è attivato per fare pervenire, anche mediante la direzione del carcere, una istanza direttamente all`autorità giudiziaria, anche eventualmente chiedendo l`ausilio per la redazione ad altri detenuti di nazionalità italiana di maggiore esperienza e capacità»; e «per far valere in modo appropriato il diritto alla scarcerazione non ha contattato il difensore», per la verità d`ufficio e residente per giunta in un distretto diverso da quello del carcere. Come dire: insomma, 208 giorni di carcere in più, ma in fondo te la sei un po` cercata…