L’INTERVENTO/1: Avvocati: con la nascita del nuovo Ocf “tramonta” la rappresentanza unica di Giuseppe Sileci (Guida al Diritto)

GUIDA AL DIRITTO

XXXIII CONGRESSO NAZIONALE FORENSE
Avvocati: con la nascita del nuovo Ocf “tramonta” la rappresentanza unica

di Giuseppe Sileci

Si legge nel preambolo della mozione statutaria Vaglio, presentata al XXXIII Congresso Nazionale Forense ed approvata a larghissima maggioranza, che “l’obiettivo realisticamente perseguibile, anche alla luce dell’esperienza maturata negli ultimi venti anni, non può essere quello di avere un’unica voce che parli a nome di tutti (è ipotesi peraltro non prevista normativamente e dunque non coercibile) bensì di far sì che i contenuti dei deliberati congressuali siano massimamente condivisi e, conseguentemente, sostenuti da tutte le componenti (istituzionali e associative), ciascuna con le modalità tipiche del proprio operato e nell’ambito, anche territoriale, di propria competenza”.
C’è, però, una evidente asimmetria tra i contenuti del dibattito congressuale, con innumerevoli interventi a sostegno della mozione Vaglio che hanno esaltato, ancora una volta, il valore dell’unitarietà dell’avvocatura e con altrettanti interventi contrari che a quel medesimo valore si sono parimenti richiamati, e le finalità del nuovo Organismo di Coordinamento Forense (in breve OCF), cui quella mozione ha dato vita.
Al netto di alcune discutibili scelte, anche lessicali, che – piaccia o no – tradiscono una certa subalternità di questo nuovo Organismo – e del Congresso Nazionale Forense – al mondo istituzionale (si pensi alla definizione di colui che dovrà guidarlo e che non ne sarà il presidente bensì il coordinatore e si pensi alla possibilità che i componenti dell’OCF siano anche consiglieri degli ordini), sembra proprio che dalle rovine dell’OUA non sia nata, a Rimini, una nuova stagione della rappresentanza unitaria dell’avvocatura.
La attuazione dell’art. 39 della Legge professionale, invece, è stata l’occasione per raggiungere quel risultato inseguito da tempo proprio dal mondo ordinistico, che, dopo aver dato vita – assieme alle associazioni forensi – all’Organismo Unitario dell’Avvocatura, ha vissuto con sempre crescente insofferenza – negli anni – il tentativo dell’OUA di recitare un ruolo da protagonista, tanto da ricercare faticosamente – quanto inutilmente – l’autoriforma dell’Organismo, al quale, nel frattempo, ha fatto mancare l’ossigeno non versando i contributi economici (la presidente, Mirella Casiello, è stata fin troppo esplicita al riguardo durante la sua relazione).
Dunque, se il Ministro – che è intervenuto a Rimini – se ne fosse tornato a Roma con la convinzione che, da domani, parlerà con un solo interlocutore e che questo sarà l’OCF/CNF, qualcuno dovrebbe affrettarsi a comunicargli che così non è per due ragioni: a) perché l’OCF nasce dalle ceneri dell’OUA e sancisce definitivamente il fallimento di far parlare l’Avvocatura con una sola voce; b) perché la rappresentanza politica si conquista sul campo e non si attribuisce d’ufficio, ed è ragionevole attendersi che le varie componenti dell’Avvocatura – soprattutto quelle dell’associazionismo – non rinunceranno a combattere le loro battaglie, a maggior ragione qualora queste dovessero essere in contrapposizione all’OCF/CNF.
Né, a voler essere obiettivi, pare destare preoccupazione il ruolo di playmaker che tenterà di recitare il mondo ordinistico attraverso l’OCF: gli ordini esistono e raccolgono consenso e la legge professionale, pur avendone esaltato i compiti istituzionali, ne ha anche incoraggiato la capacità di fare rete attraverso le Unioni Regionali e dunque di ricercare convergenze su questioni inevitabilmente politiche.
Rimane tutta da verificare, invece, la capacità dell’Avvocatura, da adesso in poi, di incidere efficacemente sui processi decisionali che riguardano la Giustizia e la categoria.
E l’ottimismo vacilla proprio all’esito del “dibattito” congressuale sulle mozioni politiche.
Era stato scelto un argomento coraggioso come tema del Congresso ed era stata posta ai delegati una domanda impegnativa: “Giustizia senza processo? La funzione dell’avvocatura”.
Di ciò non se ne è parlato affatto (ad eccezione di qualche intervento isolato) e tanto è testimoniato dalle mozioni politiche frettolosamente approvate dal Congresso, nessuna delle quali ha direttamente riguardato quell’interrogativo.
Se si fosse affrontata la questione, si sarebbe dovuto chiarire che, imboccando quella strada, si spalancano le porte alla privatizzazione della giustizia e che l’Avvocatura è, ancora una volta, di fronte ad un bivio: o continua a credere ad oltranza nel monopolio statale della giurisdizione, facendo finta di ignorare tutti i segnali che confermano la scelta politica di relegare il processo a rimedio ultimo o, comunque, di ridurre al minimo la difesa tecnica (le ultime novità in materia di ricorso in Cassazione sono emblematiche), così finendo per subire le riforme che verranno; oppure prende definitivamente atto che il futuro della professione passa attraverso nuove scelte di campo (una giustizia senza processo o con meno processo, appunto) e si attrezza – attraverso tutte le proprie rappresentanze politiche – per governare i cambiamenti.
La scelta è compito della futura classe dirigente della categoria, la quale, se vorrà responsabilmente guidarla, dovrà vincere le resistenze che probabilmente opporranno la pressoché totalità degli avvocati anche solo all’idea di una espansione della degiurisdizionalizzazione.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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