SETTE – Il Corriere della Sera
E adesso, la parola ai giudici
Persino gli arbitri di calcio potranno spiegare i motivi delle loro decisioni dopo una partita. Mentre i magistrati continuano a non farlo. Con effetti disastrosi
di Luigi Ferrarella
Dom.27 – Spiegare una decisione appena dopo che la si è presa? Persino
gli arbitri di calcio ormai si avviano a farlo per favorire “un clima di serenità nel quale si eliminino finalmente le polemiche dal mondo del calcio”, i giudici delle sentenze invece ancora no. A partire dalla prossima stagione, ha prospettato il presidente dell`Associazione italiana arbitri, Marcello Nicchi, anche le giacchette nere alla fine delle partite di pallone forse avranno la
possibilità di parlare in tv: «Non ci siamo lontani, è un discorso in via sperimentale ma, se continua, non è escluso, anzi è probabile, che dal prossimo anno due o tre arbitri vengano a parlare dopo la partita».
Trasporre questa prospettiva dal calcio alla giustizia può sembrare una bestemmia o una boutade, e invece sarebbe una rivoluzione di ecologia del dibattito pubblico sui processi. Oggi a trasformarlo in un imbarazzante “bar sport” (peraltro con minore competenza specifica sui processi di quanta ne avessero sul pallone gli ospiti del Processo di Biscardi) è paradossalmente
la combinazione tra i meccanismi formali del decidere giudiziario e le
mentalità e prassi dei magistrati storicamente indisponibili a spiegarlo. Così lo schema – disastroso per le ricadute che ha su imputati e vittime, su magistrati e avvocati, sull`opinione pubblica, e in definitiva sulla percezione (che in parte diventa anche “legittimazione”) sociale della giustizia – si ripete sempre uguale in quattro atti a metà tra dramma e farsa.
Primo atto: il giudice monocratico o il collegio giudicante pronuncia il dispositivo della sentenza, spesso poco comprensibile ai non addetti ai lavori, e fissa il deposito delle motivazioni in genere entro 90 giorni.
Secondo atto: nell`assenza quindi delle motivazioni, si scatenano in tv e sui giornali non solo i tentativi cronachistici in buona fede di ricostruire da pochi dettagli l`iter del ragionamento sfociato in quella decisione, ma anche le interpretazioni più ardite, le letture del verdetto più strampalate, le strumentalizzazioni più incredibili, favorite dal fatto che tanto ciascuno può dire quello che vuole senza essere smentito, sbertucciato o quantomeno contraddetto.
Terzo atto: si apre un surreale dibattito collettivo, nel quale l`opinione pubblica matura e cristallizza le proprie idee sulla base dei ragionamenti campati per aria che le vengono proposti. Quarto atto: arrivati i tre mesi, i giudici depositano le motivazioni della sentenza e nessuno (tranne qualche cultore della materia) le legge più, giornali e tv colpevolmente le ignorano in quanto ormai “vecchie” e superate, ed è già ora di un altro tema e di
un altro processo e di un`altra infornata di commenti a capocchia.
LETTURA DEL DISPOSITIVO. Eppure basterebbe poco. Basterebbe che i magistrati un po-parlassero”. Invece di parlare come oggi non sempre assennatamente (ad esempio nel chiacchiericcio togato di tante trasmissioni tv sui casi di cronaca nera, nelle interviste e negli interventi su fatti di politica o su questioni non di loro competenza, nelle autobiografie spesso
tendenti all`autoesaltazione), basterebbe ribaltare il tabù secondo il quale “il
magistrato parla solo con le sentenze” e riscoprirne l`autentico valore: e quindi sperimentare o che i giudici scadenzino e organizzino il proprio lavoro in modo da essere in grado di depositare le motivazioni di una sentenza contestualmente già alla lettura del dispositivo (magari con l`accorgimento di qualche modifica procedurale sui termini per le impugnazioni difensive), o che altrimenti accanto al dispositivo emettano alle parti anche una stringata comunicazione ufficiale contenente una almeno sommaria indicazione
degli elementi di fatto fondanti la decisione e dei principi di diritto che
l`hanno determinata.
Qualcosa di simile avviene già in Cassazione con lo strumento della “informazione provvisoria” sulle sentenze più importanti delle Sezioni Unite, che già la sera in cui adottano una decisione, in attesa delle motivazioni cesellate poi nel tempo necessario, cominciano a orientare gli operatori sul principio di diritto affermato. Certo è più facile farlo su un principio di diritto (materia delle Sezioni Unite di Cassazione) che su un fatto. Ma è davvero così impossibile trovare un modo anche per le sentenze di merito?