L’INTERVENTO/1: Giustizia civile, se il rischio diventa la rassegnazione di Giovanni Verde (Il Mattino)

IL MATTINO

Giustizia civile, se il rischio diventa la rassegnazione

di Giovanni Verde

K`ANG HSI è stato il secondo imperatore cinese della dinastia Manciù. Ha vissuto tra il 1662 e il 1722. È ricordato come un imperatore tollerante, aperto alle influenze buddiste, cristiane ed europee. Questa estate mi è capitato di leggere un suo pensiero, che può essere interessante far conoscere ai lettori del «Mattino». Eccolo: «Le controversie giudiziarie tenderebbero a moltiplicarsi smisuratamente se il popolo non avesse timore dei tribunali e confidasse di trovare in essi una rapida e perfetta giustizia…Pertanto io desidero che coloro che si rivolgono ai tribunali siano trattati senza pietà e in tal modo che essi sentano un`avversione verso la legge e tremino al pensiero di comparire dinanzi ad un magistrato. In tal modo, il male sarà tagliato alle radici, i buoni cittadini che abbiano tra loro delle controversie le comporranno come fratelli, ricorrendo all`arbitrato di un uomo anziano o del capo del villaggio. Per quanto riguarda i turbolenti, gli ostinati e i litigiosi, lasciate che si rovinino nei tribunali: questa è la giustizia che meritano».
Le vicende della povera Tiziana Cantone hanno fatto riaffiorare quel pensiero alla mia memoria. Premetto: ritengo la decisione del Tribunale civile assolutamente corretta. E tuttavia lascia l`amaro in bocca che il provvedimento, emesso a distanza di un anno dalla presentazione del ricorso, non solo non sia servito a nulla (era difficile che non fosse così, perché il mondo di internet non si lascia condizionare facilmente dalla giustizia ordinaria), ma abbia comportato la condanna della ricorrente a pagare oltre ventimila Euro per spese processuali. Mi è venuto da sospettare che, di ciò consapevole (dei tempi, dei costi e, spesso, dell`inutilità dei provvedimenti giudiziari), questa o anche questa sia la ragione che ispira il Governo nella politica che sta attuando per quanto riguarda la giustizia civile. Poiché non riusciamo a fare fronte in maniera adeguata alla domanda di giustizia, dei tribunali questo sembra essere il pensiero recondito di chi decide nei palazzi del Ministero della giustizia – bisogna che i cittadini abbiano paura e bisogna convincerli che non otterranno giustizia rapida e tanto meno perfetta. Se si ostinano a ricorrere ai tribunali, è necessario che vi trovino la loro rovina; ed è quanto si meritano. Di conseguenza, bisogna operare perché si rassegnino a trovare tra loro soluzioni conciliative, facendo a meno degli avvocati, che sono una palla di piombo al piede del sistema economico.
Di quelli che hanno molte possibilità economiche e soprattutto delle grandi imprese non ci dobbiamo preoccupare. Questi ultimi (pensano al Ministero) si possono permettere il ricorso alla giustizia privata e, all`occorrenza, possono anche speculare sui tempi lunghi e sulle incertezze della giustizia statale. Di più. Essi sono dalla nostra parte, perché un sistema siffatto porta acqua alloro mulino.
Non a caso il Governo subordina l`accesso alla giustizia civile (e amministrativa) a balzai sempre più onerosi ed ingiustificati, così violando l`articolo 24 della Costituzione, che garantisce un accesso (non ingiustificatamente condizionato) ai tribunali per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. E la Corte costituzionale non è intervenuta e, nelle rare occasioni in cui è stata chiamata a dire la sua, ha evitato di entrare nel merito per irrilevanza della questione. Da qualche tempo a questa parte il Governo inserisce, poi, nel sistema disposizioni che limitano enormemente le possibilità di impugnazione dei provvedimenti giudiziari, esponendo chi osa farvi ricorso a dichiarazioni di inammissibilità e al pagamento delle spese e di sanzioni aggiuntive. Essendo, inoltre, imperativo categorico che occorre ridurre l`arretrato, gli stessi magistrati sono sollecitati a fare pulizia, costi quel che costi, e i capi degli uffici giudiziari vedono subordinata la fiducia in loro riposta alla riduzione delle pendenze. In tal modo è difficile che le decisioni relative a controversie annose (e nel nostro sistema, nel quale i rinvii ingiustificati o ingiustificatamente lunghi delle udienze sono assolutamente normali, è del tutto frequente che le controversie superino la pendenza decennale) siano rimesse in discussione, così allungando ulteriormente i tempi processuali a scapito delle statistiche. Meglio operare con il bisturi senza stare troppo a sottilizzare su chi abbia torto o ragione. A ciò si aggiunga che la Corte di cassazione si è invaghita del suo ruolo di custode della esatta applicazione ed interpretazione della legge. E di conseguenza, in barba all`articolo 111 della Costituzione che la costruisce come organo di giustizia, poco si preoccupa se la sentenza di merito sia giusta o ingiusta, se il ricorso con cui è stata portata alla sua attenzione non le offre l`occasione per dettare (spesso con decisioni chilometriche) le regole da applicare – più che nel caso da decidere – in futuri casi analoghi (e, spesso, neppure analoghi, dato che non di rado procede per “obiter dicta”, ossia con affermazioni che nulla hanno a che vedere con il caso da decidere).
Neppure c`è preoccupazione per la qualità delle decisioni. Preoccupazione che, nell`attuale situazione, dovrebbe essere grandissima in relazione ai processi da decidere in primo grado, dal momento che è assai difficile porre rimedio agli errori del primo giudice. Si dovrebbe garantire, nel primo grado di giudizio, il massimo della professionalità da parte del giudicante. Ma chi se ne occupa? Spesso controversie delicate sono affidate a giudici onorari, le cui capacità professionali non sono state sottoposte ad alcun vaglio preventivo. Altrettanto spesso queste cause sono affidate a giudici di prima nomina e quindi di scarsa esperienza. E poi chi ci assicura che la vittoria del concorso dia garanzie sull` affidabilità del giudice, posto che la legittimazione a giudicare è fondata sull`esito favorevole di un concorso di tipo nozionistico, là dove la conoscenza(talvolta neppure ragionevolmente sufficiente) delle norme non è garanzia di saperle applicare correttamente?
E poiché nel nostro sistema si resta giudici a vita, si abbia presente che non c`è alcun altro controllo sulla idoneità del magistrato a svolgere la sua funzione (che è delicatissima; per intenderci, talvolta una sorta di licenza d`uccidere). Nè si dica che i magistrati sono sottoposti ad un numero infinito di valutazioni di professionalità (basta guardare le statistiche per comprendere che si è introdotto un immane lavoro burocratico che non ha alcuna prospettiva di conseguire risultati di qualche rilievo).
Ma le qualità della giustizia diventa un aspetto secondario del problema quando l`obiettivo da perseguire politicamente è quello di abbattere il contenzioso e di ridurre i tempi processuali, utilizzando meccanismi maltusiani di compressione delle liti e degli strumenti di garanzia. Il processo, quello tradizionale, che garantisce ampie possibilità di difesa e un`attività istruttoria non compressa, è un lusso, così che sempre più spesso è sostituito da embrioni di processo, di cui, in mancanza di meglio, ci si deve accontentare. Con la conseguenza che gli italiani devono rassegnarsi alla saggezza dell`imperatore cinese e cercare fuori dai tribunali una soluzione concordata delle loro controversie o, peggio ancora, rassegnarsi ai soprusi di chi è prepotente e non esita ad esercitare la sua prepotenza o all`idea che, tutto sommato, il giudice Bridoye aveva trovato, facendo ricorso ai dadi, una non disprezzabile maniera per mettere insieme rapidità della decisione e ragionevole (al 50%) probabilità di un verdetto giusto. Eviteremmo, come purtroppo è capitato anche a Tiziana Cantone, di coltivare inutili illusioni.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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