L’INTERVENTO/1: Giustizia malata, innocenti alla gogna di Giovanni Verde (Il Mattino)

IL MATTINO

Il caso Lignola e lo «scudo» dell`obbligatorietà dell`azione penale
Giustizia malata, innocenti alla gogna

di Giovanni Verde

I rappresentanti del M5S (e con essi i giustizialisti -per le vicende altrui- che affollano il nostro Paese) rimproverano aspramente al Ministero Renzi di non avere varato leggi adeguate per combattere la corruzione.
Un terzo (o più) degli italiani applaude. Qui sta il nocciolo del problema giustizia che affligge il nostro Paese e che impedisce di ripensare dalle fondamenta la disciplina della giurisdizione quale si ritrova nella nostra Costituzione. Infatti, si ritiene che per combattere l`illegalità sempre
più diffusa non ci sia altra strada che quella di allargare le ipotesi di reato.
I contorni di queste ipotesi, sempre più indefiniti, consentono: di attrarre nell`area dell`illecito una serie innumerevole di comportamenti il cui disvalore sembra avere come riferimento più l`etica e, talora, il buon gusto o l`educazione che il codice; di inasprire le pene e di allungare in misura intollerabile i tempi della prescrizione. Con un`aggravante.
Poiché siamo fermi all`idea che per rispettare il principio dell`eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge si debba tenere fermo il principio dell`obbligatorietà dell`azione penale, si addossa agli organi della pubblica
accusa l` obbligo di indagare sempre che venga sconoscenza di comportamenti che fanno dubitare dell`esistenza di violazioni della legge penale. Dicono i pubblici ministeri: non è nostro compito quello di stabilire se il reato è stato commesso; il nostro compito è quello di proporre l`azione
penale nel momento in cui abbiamo notizia della commissione di un reato: e non abbiamo libertà di scelta in quanto la nostra è attività doverosa. Anzi, aggiungono, nel momento in cui indaghiamo per acquisire elementi che confermino la notizia di reato che ci è pervenuta, dobbiamo avvertire l`indagato; e lo dobbiamo fare a sua tutela, perché egli sappia che non si indaga a sua insaputa e perché possa apprestare la sua difesa, chiarire la sua posizione ed offrire a chi indaga gli elementi per i quali possa chiedere l` archiviazione. Si guardi alla vicenda di Pietro Lignola, ex magistrato
per 50 anni in Corte d`Assise, accusato di collusioni con la camorra e assolto dal Tribunale di Roma a fronte di una richiesta di condanna a quattro anni che era stata avanzata dai pm di piazzale Clodio. Conosco Lignola da una
vita e sulla sua onestà sarei stato da sempre disposto a giurare.
Mi è sembrato di cogliere in lui una sorta di dolorosa rassegnazione. Egli, che è stato per mezzo secolo giudice, sa che il sistema è questo. Ringrazia il Padreterno per avergli dato la forza e il coraggio per non farsi abbattere a differenza di altri, non solo colleghi, che non sono sopravvissuti alla prova. Sorvola sul peso delle indagini che ha dovuto subire e con orgoglio sottolinea che i suoi rapporti patrimoniali sono stati setacciati minuziosamente senza che sia emerso nulla che potesse comprometterlo. Quasi accetta un sistema per il quale ha dovuto subire una pesante e dolorosa intrusione nella sua vita privata, entrando a far parte della sempre più numerosa schiera dei «perseguitati a causa di giustizia» (che i Vangeli iscrivono tra i beati). E pone le distanze fra chi, come lui, fa o ha fatto il giudice, tenendosi lontano da qualsiasi compromesso (quante volte per opportunismo si cede alla tentazione di non scontentare la pubblica opinione!), e decide in base alla propria coscienza dopo avere accuratamente valutato le prove acquisite al
processo, e chi, al contrario, non sa resistere alla lusinga di un facile ed effimero consenso. Paghiamo, lo ripeto da tempo, prezzi pesanti. Ci lamentiamo perché la politica è debole e perché troppo spesso i nostri rappresentanti non sono all`altezza. Ma, di grazia, quale persona che abbia una posizione professionale di prestigio, che goda di un patrimonio che lo renda totalmente indipendente da qualsiasi pressione oggi si avventura in una competizione politica, nella quale, fra l`altro, i consensi sono sempre più fondati su rapporti clientelari e sempre meno sulla fiducia, sulle capacità e sulla stima? Chi accetta il rischio (che è quasi sicurezza) che, una volta chiamato ad un incarico di qualche importanza, perderà la sua sfera di riservatezza e sarà inondato da avvisi di garanzia? Chi è a tal punto vaccinato
da potere -con il coraggio che ostenta il presidente della nostra Regione, al quale non farebbero male un approccio diverso all`esercizio del potere e qualche lezione di prudenza e di galateo- accogliere con noncuranza gli avvisi di garanzia e continuare serenamente per la sua strada?
Cerchiamo di dare una risposta ragionevole a queste domande e chiediamoci se non stiamo pagando prezzi troppo alti, che mettono a rischio la nostra democrazia. Cominciamo a discutere del mito dell`obbligatorietà dell`azione penale. È proprio vero che essa costituisce l`ineliminabile correlato dall`eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Se così fosse, posto che buona parte dei Paesi democratici non conoscono tale principio, dobbiamo ritenere
che essi accettino che vi siano trattamenti diseguali?
O non è vero, piuttosto, che questi Paesi realisticamente sanno che l`esercizio di un`azione in giudizio comporta scelte che non possono non essere discrezionali, così che affidano il corretto esercizio dell`azione penale non all`imperativo categorico della legge (che non può essere nei fatti
rispettato), ma al controllo sociale su chi ha il compito di esercitare l`azione? E` ovvio che tutto ciò ha conseguenze, che riguardano in primo luogo il ruolo e lo statuto del pubblico ministero, il quale diviene responsabile delle scelte e non può trincerarsi dietro lo scudo di un esercizio doveroso dell`azione, scevro da valutazioni e basato su meri accertamenti fattuali.
Porre queste domande non è un atteggiamento debole di fronte alla lotta al crimine e alla delinquenza. Significa soltanto porre le premesse perché chi ha il compito di esercitare l`azione penale, prima di dare inizio al procedimento,
che produce danni spesso incalcolabili alle persone e ne compromette una vita normale, abbia la possibilità e l`obbligo di valutare se ve ne siano le condizioni e, di conseguenza, lo faccia assumendosene le responsabilità. Forse, avremmo da parte dei pubblici ministeri una maggiore prudenza nelle loro iniziative ed eviteremmo di leggere di casi come quelli che hanno, purtroppo, riguardato Pietro Lignola o di sentire recriminazioni quali ha ieri fatte il presidente De Luca. Ne guadagnerebbe la nostra democrazia.
Ma per fare ciò bisognerebbe che gli italiani cominciassero ad avere un pizzico di maggiore fiducia in sé stessi e in coloro che svolgono una qualsiasi pubblica funzione. E bisognerebbe ripristinare un circolo che allo stato appare inesorabilmente spezzato. Non dimentichiamolo, quando le istituzioni democratiche entrano in affanno, dietro l`angolo si annida il pericolo di involuzioni autoritarie.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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