LA STAMPA
I magistrati e l`opportunità del silenzio
di Vladimiro Zagrebelsky
Toccano una questione non nuova le polemiche attorno agli interventi
di singoli magistrati o di loro gruppi associativi sulla riforma della Costituzione. Riforma che, approvata dal Parlamento, sarà sottoposta a referendum per la sua conferma o reiezione. Anche all`interno della magistratura, la presa di posizione politica singola o collettiva da parte dei magistrati è oggetto di opposte valutazioni, che risalgono già alla fine degli Anni 60, quando l`associazionismo giudiziario si fece vivace (ed anche fecondo). La rivendicazione del diritto di prendere posizione e partecipare alla lotta politica fu ed è rimasta un singolare carattere proprio del gruppo di Magistratura Democratica.
Ora la questione si ripresenta e tende a essere discussa secondo lo schema che oppone il lecito (una libertà) all`illecito (una violazione sanzionabile). Si tratta di uno schema ormai prevalente nel dibattito politico italiano, ove spesso le condotte che non sono sanzionate (penalmente, con sentenze definitive) sono ritenute lecite e senza alcuna possibile conseguenza. Così, in difesa delle prese di posizione dei magistrati, si fa valere il diritto alla libertà di espressione, garantito a tutti dalla Costituzione. Si tratta però di un diritto che non è privo di limiti, che non riguardano solo i magistrati. Ma soprattutto la riduzione della questione al piano del diritto, nella sua veste sanzionatoria,
distoglie l`attenzione (e la polemica) dal terreno più rilevante, che indica invece i cardini del tema nell`opposizione tra l`opportuno e l`inopportuno. Per chiarezza va detto che quest`ultimo terreno è anche più delicato e importante del primo legato alla sola legalità/sanzionabilità.
Che non tutto ciò che è lecito sia anche opportuno è affermazione ovvia, così come lo è la severità della condanna di una condotta inopportuna, che può essere addirittura maggiore di quella dipendente dalla sola legalità.
Piuttosto che la distinzione tra le dichiarazioni di carattere politico e quelle che politiche non sarebbero, bisognerebbe considerare il legame che la condotta del magistrato ha con la sua funzione, per vedere se questa sia utilmente richiamata o sia invece strumentalizzata.
Il primo caso si ha quando l`intervento del magistrato riguarda ciò che è legato alla sua specifica esperienza, che altri non potrebbe avere. Così ad esempio le Commissioni parlamentari procedono ad audizione di magistrati su temi su cui la loro esperienza è rilevante. I magistrati poi da sempre
collaborano efficacemente a riviste e convegni giuridici. Ma l`intervento
del magistrato nel largo pubblico su problemi di natura generale, proprio perché espressivo della sua esperienza, è non solo lecito ma anche utile a formare un`opinione pubblica consapevole.
Un esempio può essere quello recente che ha visto magistrati dichiarare
e attestare che è inutile e anzi controproducente il mantenimento del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato.
Ma, venendo all`intervento di magistrati nel dibattito attorno alla riforma della Costituzione, quale è il legame di esperienza che giustifica le prese di posizione? Prese di posizione che sono naturalmente di natura politica e non tecnica. Esse, anche se fatte da singoli, coinvolgono la magistratura nella contrapposizione al Parlamento e al Governo fattosi costituente, nell`appello
al popolo cui appartiene la sovranità. Senza offesa per chi ha già pubblicizzato la sua posizione, è difficile attendersi da parte del magistrato argomenti nuovi o più efficacemente esposti, rispetto a quelli che già tanti e tanto autorevoli
esperti hanno reso pubblici. E allora c`è da chiedersi quale sia l`apporto dato al dibattito dal fatto che chi parla è un magistrato. La risposta rinvia alla qualità stessa di chi interviene, alla funzione svolta, alla credibilità assegnata alla istituzione di cui il magistrato è parte. In assenza di argomentazioni
radicate nell`esperienza specifica del magistrato, la diversità dell`intervento
del magistrato – e tanto più di un gruppo – sta proprio nella chiamata in appoggio della funzione giudiziaria svolta. Non si tratta dunque di messa a disposizione del dibattito pubblico di ciò che si è appreso e maturato nell`esercizio delle funzioni svolte, ma di uso improprio della particolare funzione che la Costituzione assegna alla magistratura. Che quest`ultima sia impropriamente e inopportunamente messa in campo, sperando che pesi nella discussione, è dimostrato dal fatto che nessun media che dia conto di interventi di magistrati ometta di citarne la funzione (procuratore della Repubblica, giudice, consigliere del Csm, ecc.): non parla infatti il cittadino, ma il magistrato in quanto tale e perché è tale. Sarebbe bene che non lo facesse.