IL SOLE 24 ORE
I primi tentativi per un cambio di mentalità
di Franca Deponti
Lun.23 – I numeri dicono che qualcosa si muove. Lentamente, in modo ancora insufficiente, ma qualche passo avanti si vede e comincia a concretizzarsi l’idea che la crisi familiare non debba per forza passare dal vaglio di un tribunale.
Anche una quota di 20-30% di coppie che decidono di separarsi con accordi extragiudiziali- come si registra a Roma, Milano, Napoli – è un piccolo successo in un Paese che conta oltre 4 milioni di cause civili pendenti, fermo nella convinzione che c’è sempre un giudice a Berlino anche per bacchettare il vicino che annaffia i fiori facendo colare l’acqua.
L’incipit di un trend positivo che va comunque valutato tenendo conto che le separazioni monitorate sono in lieve calo (il totale Italia è comunque circa 90mila l’anno) anche per due fattori: la congiuntura economica negativa, che sconsiglia di raddoppiare case da mantenere e bollette da pagare, e la diminuzione dei matrimoni, passati da 246mila a 189mila tra il 2008 e il 2014.
La “degiurisdizionalizzazione” delle liti, del resto, è uno degli obiettivi del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che si è tradotto sul fronte del diritto di famiglia prima nel Dl 132 del 12 settembre 2014, che ha introdotto la negoziazione assistita dai legali e gli accordi conclusi davanti all’ufficiale di stato civile e, un anno fa, nella legge 55 del 6 maggio 2015 sul cosiddetto divorzio breve che accelera la chiusura delle crisi.
Certo, la macchina non ha ancora superato la fase di rodaggio e impegna gli interpreti a vario titolo a un cambio di passo. I professionisti, cui è richiesto di indossare la giacchetta del mediatore-conciliatore e di sfoderare maggior duttilità e rapidità, invece di impugnare la sciabola dei commi. I Comuni, che si sono visti scaraventare addosso compiti a cui non erano preparati culturalmente né attrezzati dal punto di vista delle forze in campo, ma dai quali dipende la riuscita di una buona parte delle recenti misure, comprese le neonate incombenze introdotte dalla riforma Cirinnà per le unioni civili e le famiglia di fatto.
Infine, i veri protagonisti, ovvero le coppie che scelgono di sciogliere il vincolo. È a queste ultime che viene offerta una chance e nello stesso tempo richiesto lo sforzo maggiore. Lo Stato in passato non ha brillato nell’offerta di percorsi rapidi ed economici per sciogliere un matrimonio, complice la radicata idea dell’indissolubilità del vincolo e il terreno scivoloso di una materia che il diritto può solo accompagnare. Questa volta però il legislatore ci ha provato.
E le norme hanno certamente come obiettivo quello di svuotare i faldoni dei magistrati, ma sono anche l’occasione per mostrare una maggiore “maturità civile”: quella di gestire in proprio, con o senza avvocati, la fine (anche) giuridica di un amore provando a non trasformarla nella classica guerra dei Roses. Sfoderare le carte su un tavolo più amichevole può aiutare a non nascondere i redditi, a non usare i figli come una clava, a non ricorrere alle astuzie legali per lucrare sui tempi lunghi.
In attesa che vengano sanati compromessi normativi e imperfezioni. Primo tra tutti il doppio passaggio separazione-divorzio.