IL CORRIERE DELLA SERA
Interventi e repliche
Industria e linguaggio della modernità
di Vincenzo Improta – Vicepresidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura
Rompere la contrapposizione tra giustizia e industria, anzi più in generale con il mondo dell’impresa, è uno degli snodi per il rilancio dell’Italia. Il punto evocato dall’articolo di Dario Di Vico (Corriere, 1° luglio) è centrale e condivisibile. Ma partiamo dal noto brocardo, «Fiat Justitia et pereat mundus»: un concetto che deve essere ovviamente relativizzato, poiché se si accetta il solo significato letterale daremmo vita al paradosso per cui, per realizzare la giustizia umana, riterremmo giusto distruggere l’umanità. Il che ovviamente non avrebbe alcun senso. Il brocardo, infatti, può essere modificato nella formula proposta da Kant per il quale bisognava correttamente dire, «sia fatta giustizia e periscano pure i furfanti». Ebbene, nella riflessione di Di Vico si sottolinea l’aporia che è generata dalle sempre più frequenti decisioni dei giudici italiani che, al di la della volontà dei singoli magistrati, hanno come esito quello di produrre la chiusura delle nostre imprese, come è avvenuto per Monfalcone. Decisioni ispirate dall’idea che l’industria sia, appunto, «il furfante». Ma è davvero così? Secondo noi, no. Per varie ragioni. La prima di esse riguarda l’impresa capitalista che, oggettivamente, costituisce la struttura inventata dall’uomo che meglio di ogni altra ha reso possibile non soltanto la produzione di ricchezza e la sua distribuzione, ma l’uso più razionale e, quindi, ecologico delle limitate risorse che la natura mette a disposizione dell’uomo.
La seconda riguarda la natura intimamente giuridica del mercato dei moderni, che, infatti, vive di regole e su di esso si fonda, in virtù della necessità di assicurare tutela del lavoro, dell’ambiente e del consumatore, diritti dell’invenzione e dei brevetti, equa fiscalità. Insomma senza diritto non c’è mercato.La terza ragione riguarda la necessità del lessico comune, che giustizia e impresa dovranno pure acquisire non fosse altro per comprendere le straordinarie trasformazioni indotte dalla globalizzazione e dalla rivoluzione tecnologica e digitale. Ben venga questa ricerca di un nuovo linguaggio.
Noi avvocati ci stiamo provando sia attraverso l’interiorizzazione di questo lessico della modernità, sia nelle riflessioni che lanceremo nella nostra Conferenza Nazionale, che si terrà a Torino, a fine novembre, in una città simbolo dell’industria. Bisogna ripartire da un’Alleanza dell’Avvocatura con la società italiana su due assi: per lo sviluppo, con le imprese italiane che rappresentano una risorsa e non un nemico da abbattere, ma anche per la semplificazione, fondamentale strumento per rimettere in moto il sistema giustizia e con esso il Paese.