IL CORRIERE DELLA SERA
Informazione di garanzia non vuol dire condanna
di Caterina Malavenda
Indagini. Occorre trovare un linguaggio condiviso grazie al quale ogni atto processuale possa avere solo un significato tecnico, senza interpretazioni strumentali
Caro direttore, le sentenze favorevoli che, in questi ultimi giorni, hanno interessato esponenti di rilievo di partiti diversi, hanno generato una
riflessione generale, sulla scorta di premesse, però, non sempre condivisibili.
La prima e più importante è che non sono solo i politici, ma anche gli imputati «comuni» ad essere sovente assolti, dopo essere stati rinviati a giudizio, con la non secondaria differenza che di questi ultimi non si parla quasi mai, tema questo sul quale non sarebbe peregrino interrogarsi con la stessa attenzione.
L`assoluzione, dunque, non è un`eccezione che deve suscitare allarme o far gridare all`errore giudiziario, ma la fisiologica conseguenza di un sistema nel quale, se funziona, il pubblico ministero, all`esito delle indagini preliminari,
quando ha gli elementi necessari, chiede un rinvio a giudizio; e il giudice, alla luce delle prove che le parti gli sottopongono, condanna se quelle a carico dell`imputato sono granitiche, dovendo, invece, assolvere non solo quando difettino, ma anche quando siano insufficienti o contraddittorie.
I giudici d`appello e di cassazione le riesaminano e possono dissentire – il che spiega le recenti assoluzioni in appello, ma anche molte condanne, in luogo dell`iniziale assoluzione – fino a giungere alla sentenza definitiva, prima della quale ogni imputato è presunto non colpevole e non presunto innocente, come si preferisce dire.
Non si deve, dunque, chiedere scusa agli assolti, per averli indagati e processati o, peggio, evocare interferenze della magistratura nella politica,
essendo ogni assoluzione la prova che il sistema funziona.
Sarebbe piuttosto preferibile fare uno sforzo per trovare un linguaggio condiviso speranza vana, ahimè, anche per mancanza di un reale interesse
– usando il quale ad ogni fase processuale e ad ogni atto si attribuisca solo il
significato che dà loro il codice.
Ciò non accade, in particolare, con l`informazione di garanzia – una definizione finalmente appropriata, dopo l`infelice scelta di chiamarla, in passato, comunicazione giudiziaria – cui è da anni attribuita un`importanza
che davvero non merita. Il pm, infatti, deve inviarla all`indagato, annotando il reato ipotizzato, la data e il luogo del fatto, solo se deve compiere un atto, al quale questi ha il diritto di assistere, a sua garanzia, dunque, per permettergli di difendersi.
Una questione tecnica e una scelta temporale precisa, ma del tutto casuale, legata com`è all`andamento delle indagini, dunque, essendo il dato processuale rilevante, piuttosto, l`iscrizione nel registro degli indagati, a seguito dell`arrivo in Procura di una notizia di reato, che riguardi un soggetto identificato: del tutto ingiustificato è, dunque, sostenere – come sovente accade – che il suo invio aggravi la posizione processuale del destinatario
ed il mancato inoltro la attenui.
Eppure è dai tempi di Tangentopoli, quando si attendeva con spasmodica impazienza che venisse inviata agli esponenti di vertice dei partiti coinvolti, che l`opinione pubblica la considera una sorta di condanna anticipata e di questo sì occorrerebbe chieder conto a chi fa informazione e a chi ne strumentalizza la natura, così condizionando la percezione corretta di quel che accade dopo.
Perché è da questa distorta convinzione che discende, immediato, lo straniante sconcerto collettivo, se chi l`ha ricevuta viene poi assolto, essendo la sua condanna, invece, lo scontato epilogo di quella errata premessa, il che incoraggia facili illazioni su pretesi favoritismi, ingenerando una diffusa
sfiducia nella giustizia, che può non essere peregrina, ma per ragioni del tutto diverse.
Indubbio è il rilievo, sotto il profilo dell`opportunità, dell`iscrizione nel registro degli indagati di chi svolge un ruolo pubblico, atto dovuto cui non si addice, però, l`asimmetrico clamore che spesso l`accompagna, specie
quando non dipende dalla gravità dei reati o dalla dinamica dei fatti.
Sbaglia, però, chi sposta in là il momento delle scelte da fare, per attendere un atto che potrebbe non arrivare e traendo auspici fausti o infausti da una scelta neutra ed obbligata; ma sbaglia di più, chi, al contrario, gli attribuisce, magari in malafede, una valenza che proprio non ha: una carriera, una vita, la dignità sono ben più importanti di un pezzo di carta che arriva per caso.