IL GAZZETTINO
Intercettazioni e pm “chiacchieroni” regole da cambiare
di Carlo Nordio
Lun.9 – Riassumiamo. Nello spazio di pochi giorni a due autorevoli magistrati, Davigo e Morosini, vengono attribuite due infelicissime frasi. Il primo,
presidente dell`Anm, avrebbe detto che i politici sono ladroni senza vergogna;
il secondo, membro del Csm, che Renzi è pericoloso, e va fermato.
Ne sono seguite polemiche feroci; per Davigo il governo ha fatto, saggiamente, finta di nulla. Ma per Morosini il Ministro della Giustizia ha parlato
di caso istituzionale, e ha chiesto chiarimenti. I due magistrati, una volta tanto sulla difensiva, hanno detto di esser stati fraintesi, e di non aver
pronunziato quelle parole così micidiali. Non ne hanno ripudiato il sostanziale contenuto, ma ne hanno contestato la forma. E in questi casi, la forma è sostanza.
Perché una cosa è dissentire dal pensiero e dall`azione politica del presidente del consiglio, altra cosa è invocarne o auspicarne la paralisi e la rimozione. Saint Beuve ha scritto una bella pagina sulla “expression qui frappe”. Ecco, dire che Renzi va fermato, è un`espressione che colpisce, e molto. Lo stesso vale per i politici, se vengono sommariamente definiti ladroni.
Queste smentite sono probabilmente giuste e sincere. Ma sono anche utili per
alcune riflessioni su una materia dove i due protagonisti, e molti loro colleghi, si sono espressi con moniti severi: alludiamo alle intercettazioni telefoniche.
Perché, a ben vedere, Davigo e Morosini sono stati vittime di quel medesimo
meccanismo attraverso il quale centinaia di cittadini, parlando al telefono senza calibrare aggettivi e sostantivi, sono finiti sui titoli dei giornali con le accuse più infamanti e le illazioni più turpi. Con la differenza che questi sfortunati colloquiavano in privato, protetti, si fa per dire, dal diritto alla riservatezza garantito dall`art. 15 della Costituzione; mentre i due magistrati, con interviste più o meno formali, avevano accettato il rischio che la loro esternazione finisse in prima pagina.
Questo meccanismo si mette in moto quando un concetto, svincolato dal suo
contesto, assume significato diverso da quello voluto dal suo autore, in questo
caso Davigo. O quando una critica, riassunta in una frase ad effetto, diventa
arrogante e offensiva, come nel caso di Morosini. Perché i giornalisti che hanno raccolto le interviste dei due magistrati hanno fatto esattamente quello che fanno i poliziotti quando trascrivono nei brogliacci le intercettazioni. Hanno distillato in quelle espressioni (i “politici rubano e non se ne vergognano”; “Renzi va fermato”) il succo di quanto hanno ascoltato o creduto di ascoltare. Hanno colto la parte più succulenta del discorso e l`hanno riportata, semplificandola e isolandola dal resto. Con il risultato ben
sintetizzato da Richelieu nella nota ammonizione: «Datemi una lettera e un paio di forbici, e ne farò impiccare l`autore».
Anche le conseguenze sono analoghe. Come hanno fatto tanti infelici soggetti
intercettati, anche Davigo e Morosini hanno tentato di ridurre i danni cagionati dalle frasi loro attribuite. Ma è stata opera vana. A entrambi resterà a lungo appiccicata, forse immeritatamente, l`immagine negativa di un`arrogante insofferenza incompatibile con la carica che ricoprono. E da questo loro infortunio dipenderà, probabilmente, una più rigorosa disciplina sulle esternazioni dei magistrati, già preannunciata dal Csm.
Speriamo che, per rispetto alla par condicio, ne derivi anche un ripensamento
sulla disciplina delle intercettazioni.