IL MATTINO
La giustizia senza tempi certi
di Giovanni Verde
I tempi lunghi della giustizia sono uno dei mali da cui siamo afflitti. Il dato statistico è impietoso. Anche se in materia di giustizia le statistiche sono
assai ingannevoli, perché dietro il dato numerico ci sono situazioni assai diverse tra di loro, comunque dalle statistiche si deve partire per valutare
la bontà delle soluzioni adottate dal legislatore per accelerare i processi e ridurre gli arretrati. Le ultime statistiche, tratte dalla relazione del Ministro
al Parlamento per il 2016, segnalano che l`arretrato, nel contenzioso civile, è in progressiva riduzione.
Non molti anni fa le pendenze complessive sfioravano i sei milioni di unità. A giugno 2015 erano scese a 4 milioni e 200mila processi. Non possiamo, tuttavia, esultare. La riduzione delle pendenze non è dovuta ad un incremento di produttività, ma ad una drastica e progressiva riduzione della domanda. Poco male. Gli italiani -si dirà- diventano meno litigiosi. C`è, però, il sospetto che essi ricorrano meno al giudice, perché in tempi di prolungata crisi economica si spende meno per coltivare pretese giudiziarie, perché la spesa del processo (in particolare, non penso a quella del difensore, ma a quella per i contributi unificati da pagare per accedere davanti al giudice) è talmente alta da essere diventata vessatoria e perché gli esiti del processo sono così lontani nel tempo e così imprevedibili da scoraggiare chiunque. Di sicuro sulla riduzione delle pendenze non hanno influito o hanno influito assai poco le riforme processuali.
E ciò dovrebbe consigliare il Governo ad abbandonare la strada percorsa finora e a puntare di più sull`organizzazione. È un errore pensare che tutto dipenda dai magistrati. La macchina della giustizia è complessa e si
avvale della sinergia di molte figure professionali. Quanto lavoro giudiziario è vanificato o rallentato per la mancanza di sufficiente personale qualificato che si adoperi per tutte le attività complementari (cancellieri, segretari, ufficiali
giudiziari ecc.)! Vi sono mancanze nell`organico di questo personale assai rilevanti. È inspiegabile che non si colmino i vuoti di un organico di per sè sottostimato, là dove abbiamo un`amministrazione (specie a livello locale) infarcita di personale sovrabbondante. Né è politica saggia quella di «tappare i buchi» con personale avventizio e poco qualificato. È illusorio pensare
che in questo modo si risparmi, dal momento che il rendimento di questo personale è modesto e spesso infarcito di errori. Anche i magistrati dovrebbero darsi modelli organizzativi migliori. Le statistiche ci dicono che la produttività varia da ufficio a ufficio e che esistono uffici con indici di produttività più che doppi rispetto ad altri. Ciò significa che non dovrebbe essere impossibile organizzarsi in maniera che gli uffici meno virtuosi si avvicinino a quelli più produttivi.
Un discorso a parte merita la Corte di cassazione in sede civile. Su richiesta della stessa Corte le ultime riforme hanno ristretto o cercato di restringere in vario modo la possibilità del ricorso e ne hanno aumentato i costi. Nonostante
ciò, il flusso dei ricorsi in cassazione è costante: circa trentamila unità per anno. La capacità di smaltimento è di circa ventottomila processi per anno, così che c`è un incremento continuo delle pendenze (siamo a circa centomila processi) e un egualmente continuo allungamento dei tempi processuali.
Posto che il numero dei ricorsi è eccessivo (e supera, spesso di gran lunga, quello degli altri Paesi dell`Unione), la soluzione va ricercata nel rivedere la garanzia prevista in Costituzione, in quanto non tutti i processi meritano tre gradi di giudizio. Non è praticabile, invece, l`aumento del numero dei magistrati, se si vuole conservare a questo giudice un minimo di capacità
di decidere in maniera uniforme.
Anche per la Cassazione penale abbiamo un eccesso di domanda. Ogni anno pervengono a questo giudice circa cinquantacinquemila nuovi processi (ma la situazione non è diversa per le Corti di appello, dinanzi alle quali ogni anno
sono proposti più di centomila appelli). La Corte ne definisce più di cinquantamila. Numeri impressionanti, posto che si tratta del giudice posto al vertice della piramide giudiziaria. L`aumento delle pendenze è inevitabile, così come è inevitabile l`allungamento dei tempi processuali. Il rimedio, qui, più che essere ricercato in meccanismi di dissuasione, va ricercato in meccanismi che rendano meno appetibile i rimedi. Infatti, spesso i ricorsi (e gli appelli) sono strumentali, in quanto mirano ad impedire che si formi il giudicato, allontanando l`esecuzione e cercando di arrivare alla prescrizione del reato.
Confesso che non mi è chiaro il rapporto tra prescrizione e presunzione
di innocenza. La prescrizione è un istituto di antica civiltà: nei rapporti privati chi non lo fa valere per molto tempo perde il diritto, perché il suo disinteresse implica una volontà di abbandono e anche perché si dà risalto alla certezza
delle situazioni giuridiche; nel diritto penale, con il tempo l`interesse pubblico alla punizione si attenua, fino a scomparire. Una punizione tardiva avrebbe le sembianze di una non giustificata vendetta.
Per comprenderlo, proviamo a pensare a un genitore che punisce a freddo e dopo giorni il figlio per qualche marachella. Penseremmo che quel padre è disumano e giustificheremmo il bambino se covasse rancore. Pertanto,
mentre nel diritto civile basta far valere il diritto, perché la prescrizione sia interrotta e, poiché la durata del processo non deve danneggiare chi ha agito in giudizio, in pendenza del processo la prescrizione non corre, nel processo
penale, invece, avendo la prescrizione una funzione diversa, non avrebbe senso prevedere l`interruzione per effetto dell`esercizio dell`azione penale e la sospensione del suo decorso durante il processo. Ed infatti il nostro sistema non lo prevede. Ciò non toglie che si possa ragionare sulla scelta attuale di non farla decorrere fino alla sentenza definitiva di condanna.
Non c`è, a mio avviso, alcuna ragione per escludere che una sentenza di condanna, anche da parte del giudice di primo grado, sia sufficiente per ritenere accertati la volontà e il persistente interesse dello Stato (e della collettività) ad irrogare la sanzione. In questa prospettiva, il ricorso del condannato ai rimedi processuali, che potrebbero anche non esistere se il processo si svolgesse in unico grado, costituisce una garanzia a suo favore che non può trasformarsi in espediente per evitare la condanna e una conseguente dilatazione dei tempi non rende tardiva la punizione, la cui esecuzione è rinviata proprio per il rispetto della presunzione d`innocenza. E` probabile che, qualora si correggesse l`istituto della prescrizione nel senso che essa, dopo la condanna in primo grado, resti sospesa nei successivi gradi di giudizio, molte impugnazioni (soprattutto dinanzi alla Corte di cassazione) non sarebbero coltivate e verrebbe meno buona parte dell`interesse del condannato a prolungare la durata del processo.
Un disegno di legge di circa un anno fa si muoveva in questa direzione.
Sembra che oggi ci siano ripensamenti e che, per taluni reati, ci sia ancora chi voglia allungare i tempi della prescrizione, lasciando sostanzialmente immutato il sistema vigente.
Se così fosse, la scelta non sarebbe felice. Siamo pur sempre depositari di una tradizione giuridica contrassegnata da un alto grado di civiltà. Cerchiamo di
non sporcarla. Fidiamoci delle statistiche.
I numeri servono anche neutralizzare le ideologie, soprattutto quando contrastano con valori ampiamente condivisi.