IL SOLE 24 ORE
Nell’agone. Figura ricca di coraggio e solitudine
La «spina» nel fianco della democrazia
di Guido Compagna
La democrazia italiana deve molto a Marco Pannella. Nonostante tutto. Gli deve molto perché senza la martellante, e per certi versi ossessiva, azione politica del leader radicale, scomparso ieri a 86 anni, in Italia ci sarebbero meno diritti civili e, meno solidità democratica. Basta pensare alla battaglia per il divorzio che Marco riuscì a imporre ad un preoccupatissimo partito comunista e ad un altrettanto recalcitrante (salvo significative e solide eccezioni) mondo liberaldemocratico convinto (mi ci metto anche io) che anche quella volta a vincere sarebbero stati i clericali e non i laici.
C’è dunque un debito politico dell’Italia civile con Marco Pannella. Ma c’è anche un nonostante tutto. Perché molte delle cose che hanno caratterizzato la sua azione politica sono anche state contraddittorie. Per fare un esempio Marco è la stessa persona che ha persino diretto (naturalmente per consentirgli di uscire in nome della libertà di stampa) un giornale come “Lotta continua” a ridosso degli anni di piombo per poi accogliere come un fatto tutto sommato positivo la discesa in campo di Silvio Berlusconi, riconoscendogli, con eccessiva generosità, doti liberali che i fatti si sono presto preoccupati di smentire. Così come la sua serrata polemica contro la partitocrazia e l’invadenza dei partiti ha nei fatti alla facilitato il crollo della prima Repubblica sotto l’attacco della magistratura. Attacco che più di altri Pannella ha denunciato e contrastato con passione.
Si potrebbero aggiungere altri “nonostante”. Per esempio con riferimento agli eccessi nell’uso dei referendum che nei fatti sono serviti a mettere in crisi quell’istituto che pure la Costituzione aveva giustamente consegnato ai cittadini. Così come non si può non notare la contraddizione tra la giusta e continua battaglia per il rispetto della legalità e la parallela delegittimazione dei massimi organi costituzionali a tutela di essa. A cominciare dalla Corte costituzionale, che più volte Marco ha indicato come una pericolosa cupola mafiosa. Così come, se è giusto aver contrapposto il culto del senso dello Stato contro l’abbandonarsi ad una fin troppa facile ragion di Stato. Non altrettanto convincenti sono stati alcuni atteggiamenti di neutralità tra chi attaccava e chi difendeva lo Stato democratico.
Eppure Marco Pannella è stato soprattutto un liberale. La sua storia politica nasce nella sinistra liberale e nella partecipazione alla scissione del 1954, quando Giovanni Malagodi sostituì alla segreteria Bruno Villabruna. Fu allora che Pannella si inventò il partito radicale. E si trovò in posizione, spesso di eresia, proprio rispetto ai padri fondatori di quel mondo liberal radicale: da Pannunzio a Scalfari. Marco, lo diceva lui stesso e lo testimoniano la sua storia e quella del suo partito radicale, era soprattutto un liberale da strada. Andava in piazza e non scriveva soltanto articoli. Naturalmente in piazza e nelle strade ci andava senza masse al seguito. Spesso da solo e con un tatze-bau al collo. Una delle sue doti era il coraggio della solitudine.
Una solitudine dalla quale ha spesso cercato di uscire. Come quando, giovane dirigente dell’Unione goliardica italiana (era il tempo dei parlamentini nelle Università) riuscì a farsi ricevere da Togliatti, convincendolo che era arrivato il momento di sdoganare gli studenti comunisti e farli confluire nell’Ugi insieme agli studenti liberali di sinistra, repubblicani e socialisti. Un’impresa per quei tempi davvero impossibile. Più difficile anche di quando Pannella convinse i comunisti a dire sì alla battaglia divorzista. Va detto che nell’Ugi con Pannella si ritrovarono quelle che sarebbero diventate le migliori personalità della sinistra politica italiana: da Achille Occhetto a Bettino Craxi a Paolo Ungari. Solo per fare alcuni nomi.
Pannella è riuscito a contare molto nella vita politica italiana, pur avendo una modestissima rappresentanza istituzionale e soltanto per brevi periodi, e non essendo mai andato al Governo. Per quel ruolo ha sempre puntato su Emma Bonino, l’altra colonna portante del partito radicale, al di là di qualche screzio anche recente in Parlamento però i suoi pochi parlamentari contavano. E come. Ne sanno qualcosa i presidenti di assemblea, a cominciare da Nilde Iotti, spesso messi in difficoltà dalla capacità dei radicali di organizzare l’ostruzionismo, sulla base di una seria conoscenza dei regolamenti parlamentari.
Abbiamo ricordato la polemica di Pannella contro la partitocrazia. Eppure il partito radicale è ancora oggi il più partito dei partiti italiani. Tieni congressi annuali ai quali possono partecipare tutti gli iscritti. Magari non presenta sempre le liste elettorali e i propri candidati Ma credo che in nessuna sede di partito si succedano tante riunioni di organi dirigenti come in quella di via di Torre Argentina.
Infine le ultime battaglie di Marco sono state quelle per migliorare la condizione carceraria dei cittadini detenuti, anche ricorrendo all’amnistia e all’indulto. Oggetto di accuse e contumelie da parte delle destre e della Lega ha trovato un’importante sintonia soprattutto con l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano. E, tutto lo lascia credere, ora anche con Papa Bergoglio. Molti si sono meravigliati delle aperture di Francesco a Pannella e, soprattutto della soddisfazione nel ricambiare queste aperture. Una meraviglia, io penso fuori luogo. Un Papa che sceglieva di chiamarsi Francesco non poteva che piacere al laico e, magari, mangiapreti Marco Pannella.
Per concludere: l’esperienza politica di Pannella si presta a diverse e contraddittorie letture. Come per altri eretici della democrazia liberale. Penso al durissimo giudizio che su “L’Acropoli” diede lo storico liberale Adolfo Omodeo quando definì Gaetano Salvemini “una spina per la democrazia”. Forse anche Marco è stato una spina. Ma è grazie a queste spine che le democrazie riescono a vivere e a crescere. Come le rose.