IL MESSAGGERO
Toghe e politica.
Non è adulto un Paese ancora diviso sulla giustizia
di Carlo Nordio
Com`era prevedibile, e anche auspicabile, le celebrazioni del 25 Aprile si sono concluse senza incidenti e senza laceranti controversie. A parte alcune intemperanze di pochi agitati agitatori, i dissidi sono stati contenuti nell`ambito della disputa verbale tra chi vuole cambiare la Costituzione
e chi vuole che resti com`è. Su questo, ormai, decideranno gli elettori. Ma avendo ripetutamente assistito, negli anni passati, alle reazioni violente e
scomposte di chi, prendendo a pretesto la lotta antifascista, saccheggiava edifici e piazze per protesta contro il governo, consideriamo questo pacifico
epilogo una buona notizia. Se poi esso dipenda dal tramonto delle ideologie, dalla diffusa stanchezza di controversie sterili, dalla preoccupazione per
emergenze più urgenti, o dall`indifferenza degli italiani verso il nostro passato, questa è altra questione. Ma intanto godiamoci la ritrovata tranquillità. Purtroppo questo faticoso cammino verso un Paese più adulto e una condivisione, se non di idee, almeno di atteggiamenti, è stato vulnerato da un`ennesima polemica sul tema della giustizia. Complice l`infelicissima sortita del presidente dell`associazione magistrati, ancora una volta giustizialisti e garantisti si sono scontrati.
Con la novità che stavolta il rimescolamento delle carte è trasversale e, se possibile, ancora più confuso: molte toghe “di sinistra” hanno criticato le parole di Davigo, mentre politici “di destra” hanno applaudito. Il premier, saggiamente, ha ignorato.
A questa scelta di solenne distacco vorremmo attribuire un connotato:
quello di sovrana indifferenza verso una critica ingiustificata e impropria
alla classe politica, rivolta dal rappresentante di un`associazione che, in parte, se ne è dissociata. Tuttavia questa interpretazione rischia di essere smentita da due circostanze.
La prima, che si profila una gestione unitaria della disciplina della prescrizione e delle intercettazioni, con un compromesso che sarebbe fatale a un indirizzo realmente riformatore. Il compromesso consisterebbe nell`allungamento dei termini della prescrizione a fronte di una più
rigorosa limitazione delle interferenze telefoniche. Se infatti l`intenzione è
quella di sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, o
penale, assisteremmo alla catastrofica dilatazione dei tempi dei processi a
discrezione, o meglio ad arbitrio dei giudici. Una volta iniziato il giudizio,
infatti, esso potrebbe durare, nei vari gradi di impugnazione, virtualmente all`infinito, alla faccia dell`art 111 della Costituzione che ne impone la conclusione in tempi ragionevoli. Se questo fosse il prezzo da pagare al giro
di vite sulle intercettazioni, meglio lasciar perdere. Per conto nostro, abbiamo già detto che la soluzione più equilibrata sarebbe mantenere i tempi di prescrizione attuali, facendoli però decorrere non dalla commissione del
reato ma dall`iscrizione nel registro degli indagati, da quando cioè il cittadino inizia il suo calvario giudiziario, che deve concludersi, appunto, in tempi ragionevoli. Ma evidentemente la voce di molte toghe ha ancora, ci si scusi il bisticcio, voce in capitolo.
La seconda è che, proprio riguardo giustizia ha detto che intende perseguire gli obiettivi indicati da alcune procure. A parte il disagio che l`elettore può provare davanti a una subalternità quantomeno culturale del governo davanti alle proposte del cosiddetto terzo potere, va detto che questi obiettivi sono, a parole, condivisi da tutti. Si tratta cioè di evitare che le conversazioni intime e
irrilevanti finiscano in pasto al pubblico. Il problema che forse sfugge al ministro non è l`accordo sugli obiettivi, ma quello sullo strumento che ne consente quotidianamente l`elusione. Questo strumento è rappresentato dall`insindacabile giudizio del Pm su ciò che è rilevante e ciò che non lo è. Ed è proprio questo funesto principio che si intende mantenere. Cosicchè se il magistrato riterrà rilevanti i sospiri o le recriminazioni di due innamorati,
tutto finirà, legittimamente, prima nel fascicolo e subito dopo sui giornali. E
tutto resterà esattamente come prima.