L’INTERVENTO/2: Adesso anche il Governo ci metta «la faccia» di Donatella Stasio (Il Sole 24 Ore)

IL SOLE 24 ORE

Adesso anche il Governo ci metta «la faccia»

di Donatella Stasio

Senza nulla togliere alla simpatia e all’efficacia del videomessaggio di Checco Zalone inviato agli Stati generali sull’esecuzione penale per bucare il disinteresse di media e opinione pubblica sul carcere, dispiace non aver visto comparire sul telo bianco calato nell’Auditorium del carcere di Rebibbia (anche) la faccia del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Avrebbe dato all’iniziativa voluta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando una prospettiva politica forse più certa. Sarebbe stata un’assunzione di responsabilità, diretta e del governo, per una nuova politica penale e del carcere. Un atto di «coraggio», insomma. Quel coraggio evocato da Orlando lunedì, davanti al Presidente della Repubblica, che proprio nei momenti di «preoccupazione per la sicurezza individuale e collettiva» distingue la buona politica da quella che cavalca il populismo, la demagogia, la crescente penalizzazione e, soprattutto, «verità, che tali in realtà non sono» ma servono ad acquisire il consenso popolare.
L’assenza di Renzi – in video o anche solo con un tweet – certamente non indebolisce la carica fortemente innovativa degli Stati generali né toglie credibilità agli impegni assunti dal guardasigilli per «cambiare prospettiva»: più risorse, in particolare per implementare le «misure di comunità» (Orlando promette 10milioni entro l’anno), pene alternative al carcere, giustizia riparativa, protocolli su lavoro e sanità in carcere, formazione della polizia penitenziaria. Non è poco. Così come non è poco parlare di carcere con parole nuove, cosicché si respiri un’aria diversa. Purché tutto questo, però, trovi coerenza e stabilità nell’azione di governo e non si frantumi, in tutto o in parte, contro il muro dell’emergenza di turno. Lo ha detto bene il coordinatore degli Stati generali Glauco Giostra: «Il libro della riforma sarebbe facilmente scompaginato dalla prima folata allarmistica se non potesse contare sulla robusta rilegatura di un sentire sociale nuovo e sintonico». La folata allarmistica, peraltro, sembra già alle porte. E’ quella sulla sicurezza urbana, rilanciata nei giorni scorsi dal premier, che ha promesso per maggio «una legge sulla sicurezza nelle città». Si tratta del ddl del governo (ma già circolano voci di un possibile decreto) annunciato mesi fa, poi accantonato e adesso riemerso, che contiene nuovi reati contro il degrado urbano e pene più alte per furti e rapine, misure contro ambulanti che vendono prodotti contraffatti (soprattutto immigrati), i writer, i parcheggiatori abusivi (si veda Il Sole 24 ore del 17 aprile). Insomma, la versione renziana dei ben noti “pacchetti sicurezza” che rispondono alla “percezione di insicurezza dei cittadini” a colpi di codice penale. Se così fosse, sarebbe l’esatto contrario della direzione emersa negli Stati generali.
Peraltro, ieri a Rebibbia, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha indirettamente giustificato questa politica della sicurezza con uno strano ragionamento: pur ribadendo che nel 2015 i reati sono diminuiti come mai negli ultimi anni, ha aggiunto che la percezione esterna di insicurezza resta e non va sottovalutata. Quindi ha messo in guardia da norme che possano dare l’impressione di un «lassismo» del governo, perché l’effetto sarebbe quello di aprire la strada a forme di giustizia privata. Sembra la premessa politica anche di nuove norme penali sulla sicurezza. Quelle messe a punto dai tecnici del Viminale e già a Palazzo Chigi, che dovrebbero avere il concerto del ministero della Giustizia. Che cosa farà Orlando?
Finora, il governo Renzi aveva resistito alla tentazione dei pacchetti sicurezza, anche se non sono mancati, in questi due anni, cedimenti al populismo, sia per rincorrere la Lega e il Movimento 5 Stelle, sia per assecondare le pulsioni più securitarie esistenti nell’Ncd ma anche nel Pd (dall’omicidio stradale alla mancata abrogazione del reato di immigrazione clandestina). Perciò non è neanche da escludere che durante questi due giorni degli Stati generali Orlando abbia parlato anche al suo partito, per richiamarlo a un’ispirazione genuinamente garantista.
«La percezione siamo noi» ha ricordato il ministro, rivendicando il ruolo della politica nell’orientare l’opinione pubblica, ma non in base alle paure bensì ai fatti, alla razionalità, ai valori in gioco. Finora, governo e maggioranza hanno dato alla «percezione» un peso diverso a seconda dei reati, minimizzandone la portata nel caso della corruzione, ampliandola invece per i reati di strada, la cosiddetta microcriminalità. Che è poi quella che affolla le patrie galere, dando al carcere sempre lo stesso volto della discarica sociale. Un volto che gli Stati generali chiedono di cambiare, quanto meno rinunciando al carcere come unica e reiterata risposta alle paure collettive, tanto più se il carcere non offre prospettive di reinserimento sociale. A Orlando il merito di aver aperto la strada. Al governo, ora, l’onere di percorrerla senza cedimenti.

Foto del profilo di Andrea Gentile

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