IL SOLE 24 ORE
Cassazione intempestiva e senza prevedibilità
di Tommaso Basile – Sostituto procuratore generale della Cassazione
Sab .18 – Il giudizio di legittimità davanti alla Corte di cassazione si è ormai allontanato dalla previsione legislativa originaria per trasformarsi, in sostanza, in un terzo grado di merito. Tra le cause di questo fenomeno: il caos normativo prodotto dalle decine e decine di migliaia di leggi in vigore; un sistema di impugnazioni che rimette costantemente in discussione ogni decisione assunta dal giudice; il numero altissimo di avvocati abilitati alla difesa (più di 50 mila a fronte dei 50 in Germania); la mancanza di un percorso specifico di preparazione per il giudici che vengono assegnati alla Corte di cassazione. Infine, per ultima ma certo non ultima causa, il numero enorme dei processi in cassazione, sia civili che penali, che fanno dell’Italia un caso unico nel mondo. C’è ormai unanime consenso sul fatto che la Corte non riesce ad adempiere con effettività al compito che il sistema processuale le assegna. Ma forse non si è sottolineato abbastanza il danno, la Cassazione oggi, senza radicali riforme, rischia di arrecare alla giurisdizione nel suo complesso.
Lo scopo principale del giudizio di legittimità non è fare giustizia per il singolo. Le Corti supreme, nell’architettura dell’ordinamento giuridico dell’Occidente, non hanno, in linea di massima, la funzione di rispondere direttamente al cittadino che le interroga. Esse invece, con il caso specifico, parlano al Giudice del merito stabilendo un principio interpretativo che va al di là del caso medesimo. È questo il compito essenziale delle Corti di legittimità: stabilire il precedente che armonizzi ’interpretazione della legge. E lo è anche in Italia dove, seppure il precedente non è vincolante, esso serve a Tribunali e Corti d’appello per decidere il medesimo caso nel medesimo modo, con equa uniformità.
Quel che accade oggi non va in questa direzione. La Cassazione presenta tre debolezze evidenti: è innanzitutto intempestiva. In particolare nel settore civile, le sentenze giungono dopo dieci, quindici, anche vent’anni dai fatti: quando le norme magari sono cambiate e l’interesse è certamente quasi dissolto. Peggio ancora, rischiano di riaprire vicende ormai concluse e trascinare contenziosi ulteriori ancora per molti anni. In secondo luogo è imprevedibile. Non è infrequente che la Corte decida in contraddizione con se stessa, e a volte ciò capita anche all’interno della stessa sezione (che comprende anche trenta giudici) dove i cinque componenti di un Collegio non sanno quel che è stato deciso il giorno precedente da un diverso Collegio. Ciò è certamente dovuto anche al numero dei processi – circa 90mila l’anno – e al numero dei giudici (oltre 300) che rendono molto difficoltoso dialogo interno e organizzazione del lavoro. Infine, la Cassazione è divenuta, per i giudici del merito, inaffidabile. E’ una conseguenza della sua imprevedibilità: quando sembra che l’interpretazione di una nuova legge si stia stabilizzando, interviene una pronunzia della Suprema corte che sovverte i principi applicati fino a quel momento. E ciò, magari, non in ragione di un meditato ripensamento “collettivo” della Corte nell’esercizio della sua doverosa funzione di indirizzo, ma piuttosto a causa della linea interpretativa difforme adottata da un unico collegio giudicante. Sono previsti rimedi tecnici perché questo non avvenga: eppure avviene.
É difficile prevedere un miglioramento a breve. I rimedi all’esame del Parlamento intervengono sulle procedure ma non affrontano il problema di fondo quantunque esso sia ormai ben chiaro. La realtà è che nessuna Corte suprema apre le proprie porte a chiunque come accade nel nostro Paese. Ovunque, in qualunque altro ordinamento, è previsto un filtro all’accesso, sia esso in relazione al valore della causa, alla rilevanza della materia, al rilievo sistematico della questione in esame. Non si tratta di negare al cittadino il ricorso alla giurisdizione. Proprio il contrario. Si tratta di rendere il processo più serio ed efficiente: che è l’unico modo di garantire davvero la giustizia.